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Testimonianze

di Filippo Simonelli - 12 Marzo 2022

Con il protrarsi del conflitto, sono sempre più i musicisti che hanno scelto di prendere apertamente posizione sul tema, e con loro anche le istituzioni culturali di stati anche non direttamente coinvolti.

Hanno destato sensazione le parole del direttore del Bolshoi, Tugan Sokhiev, che ha scelto di dimettersi per le pressioni ricevute in virtù della situazione oltre che per la situazione in sé; un’altra defezione importante sempre tra le fila del teatro moscovita è arrivata dal primo ballerino, Jacopo Tissi, che si è detto impossibilitato a proseguire la carriera a Mosca. Di contro, la direttrice ucraina Oksana Lyniv, attualmente in forza al Comunale di Bologna, è stata accolta da trionfali applausi al suo debutto al Costanzi di Roma per la prima recita di Turandot.

Che la situazione potesse investire tutti gli ambiti delle relazioni tra Russia, Ucraina e il resto del mondo era prevedibile: tuttavia la situazione che le istituzioni artistiche stanno vivendo, tra esclusione degli autori russi dai repertori in alcuni paesi a quella di concorrenti russi nei concorsi internazionali. Questa escalation su tutti i fronti non è – purtroppo – una novità dei grandi conflitti: già durante il primo conflitto mondiale era stata contestata l’esecuzione di musica tedesca negli Stati Uniti – e in Italia, peraltro, dove Beethoven era diventato per un breve tempo “fiammingo” – e con la guerra fredda era diventata una vera e propria arma per far mostra della propria supremazia.

A farne le spese ovviamente sono prima di tutto i musicisti, e non solo nei paesi direttamente coinvolti nel conflitto: abbiamo raccolto una testimonianza di un giovane musicista russo residente nel nostro paese per cercare di dare voce alle espressioni artistiche diverse da quelle più comunemente interpellate.

Numerosi sono stati i musicisti in queste ultime due settimane che hanno preso una netta posizione riguardo alla corrente situazione in Ucraina. La maggior parte degli artisti hanno condannato aspramente questo barbaro atto di guerra, di aggressione nei confronti di uno stato, che oltre ad essere indipendente e sovrano, è così vicino alla cultura e tradizione russa.

Tra gli artisti russi invece, c’è stata una radicale discrepanza tra chi si è discostato ed ha apertamente criticato questa invasione, e chi ha invece evitato di pronunciarsi.

Artisti come Tugan Sokhiev, che ha addirittura dato le dimissioni dal Teatro Bolshoi di Mosca, di cui era Direttore Artistico e Musicale, Evgeny Kissin, Kirill Petrenko e Vladimir Jurowski, che hanno pubblicamente preso una posizione ed hanno immediatamente organizzato concerti di beneficenza dedicati alle vittime di questa guerra, assieme a molti altri ancora.

Dall’altra parte vi sono invece gli “artisti del regime”, coloro che negli ultimi 20 anni hanno sostenuto pubblicamente Vladimir Putin ed il suo entourage. Valery Gergiev, Anna Netrebko, Denis Matsuev sono solo alcuni dei nomi che hanno deciso di non prendere una posizione, o come nel caso del soprano sopra citato, di dare un “contentino” per placare gli animi, salvo poi ritirarsi dalle scene in quasi tutti i teatri europei. Nel caso di Gergiev, le conseguenze sono ben note a tutti: recisione del contratto di Direttore Musicale dei Münchner Philharmoniker, sostituzione della produzione in corso della “Dama di Picche” al Teatro alla Scala e simili reazioni da parte di numerosi teatri d’Europa e degli Usa.

Sul perché alcuni artisti, prevalentemente russi, hanno deciso di non prendere una posizione, sostenendo così automaticamente le scelte del governo russo a partire dall’invasione dell’Ucraina, ci sono diverse risposte. In primis, la maggior parte di questi artisti è sostenuto mediaticamente ed economicamente dallo Stato. Valery Gergiev ad esempio, attraverso un’amicizia personale con Vladimir Putin, una grande abilità politica e il sostegno aperto del governo russo, ha ricevuto numerose sovvenzioni e finanziamenti per il suo Teatro Marinsky, il quale negli ultimi 30 anni è divenuto il teatro più importante della Federazione Russa. Gergiev, che giustamente viene considerato uno dei più grandi musicisti viventi, senza questi rapporti, perderebbe una gran parte di quel potere, motivo per cui evita di esporsi.

Vi è poi una non nuova propaganda culturale, di cui gli artisti stessi sono delle mere vittime. In epoca staliniana infatti vi furono determinati “artisti del regime”, che avevano il compito di rappresentare gli ideali culturali dell’ideologia comunista, di creare una nuova corrente artistica sovietica, accessibile al popolo dei lavoratori, e contraria al diabolico formalismo di autori come Prokofiev e Shostakovich.

Oggi una realtà simile è capeggiata dagli artisti sopra citati, che portano avanti questa “santa missione” di glorificazione del popolo e della cultura russa.

Per concludere, un breve commento è doveroso sulla funzione dell’artista e della cultura all’internodella società. Certamente vedere musicisti di grande fama cacciati da numerosi teatri non è mai piacevole. Così come assistere ad un boicottaggio mirato della cultura russa, una delle più ricche e floride al mondo, incute sicuramente un grande senso di tristezza e delusione.

Tuttavia notevole è il fatto che, per la prima volta dopo diverso tempo, l’arte e la cultura, ed in particolar modo la musica cosiddetta“classica”, è stata rilevante. Il Teatro alla Scala, conducendo un’azione così drastica come quella di chiedere al M°Gergiev di prendere una netta posizione, ha creato un precedente. Di seguito il Met di New York, il Festival di Lucerna, i Wiener Philharmoniker hanno percorso gli stessi passi. Tutti questi teatri sono usciti dalla propria bolla, da una polverosa nicchia e hanno agito. Qui non si tratta di proporre una regia innovativa e scandalosa, o un’opera del Settecento appena riscoperta. Si tratta di fare cultura, di prendere parte in maniera attiva alla vita della società.

Un teatro, che agli occhi di tutto il mondo è sempre apparso come un luogo di mondanità, nient’altro che una passerella per sfoggiare il lusso, d’un tratto si pone come un’agorà che partecipa alla vita politica mondiale, con un’azione che si ripercuote in tutta Europa.

Questo è ammirevole.

Contestabili invece sono le reazioni di chi sostiene che l’artista non debba entrare nelle questioni politiche e sociali, ma che debba solamente dedicarsi alla bellezza e all’arte.

L’artista ha il compito di unire, di creare pace. Questa è la “santa missione”.

Lo ha fatto Beethoven, lo ha fatto Schiller, e tutti noi, nel nostro piccolo, abbiamo l’obbligo morale di perseguire questa via.

Vsevolod Borzak è Direttore Principale dell’Orchestra di Roma 3, è cittadino italiano di origine russa.

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