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Legge, legislazione e musica

di Filippo Simonelli - 11 Settembre 2016

Immaginate di passeggiare per una strada del centro della vostra città e di incontrare magari, per caso, un musicista di strada. Nella maggioranza dei casi si tratta di saltimbanchi, artisti dilettanti desiderosi di far qualche spiccio o semplicemente di strimpellare in modo approssimativo il loro strumento per divertirsi.

Ma qualche volta capita di incontrare anche gente capace, persone che dedicano alla loro musica tempo ed energie e devono arrotondare i magri compensi dei loro concerti “ufficiali”.
Se siete romani e vi capita di passeggiare lungo via del Corso, potete benissimo imbattervi in entrambe le specie di musicisti. Piazza del Popolo è infestata di ragazzi con la chitarra, o magari una tastiera, che cantano il Battisti o il De Gregori di turno. Gente che si diverte e fa divertire chi passa di là.
Andando più avanti, all’altezza di via dei Greci dove sta il conservatorio romano, si possono trovare violoncellisti, violinisti, musicisti “classici” per farla breve.
Ma a noi non interessa ordinare i musicisti in una gerarchia.
Perché tutti questi signori hanno bisogno specifiche autorizzazioni delle autorità locali per esibirsi, pena multe, molto salate.
Suona strano, no?
Eppure queste sanzioni esistono. L’ultimo caso, in ordine cronologico, è quello di Borja Catanesi, un giovane chitarrista che a Verona è stato sanzionato con una multa da 516 euro per aver suonato in strada.
Se guardassimo la questione con superficialità potrebbe apparire irrilevante. Oppure potrebbe originare al più una polemica sterile, e si finirebbe per disquisire di ottusità del vigile e cose simili.
Ma la questione è più complessa. La città di Verona, per le esibizioni dei musicisti di strada, richiede un’autorizzazione corredata di marca da bollo ed è valida solo in determinate parti della città, e per un periodo di tempo limitato. La capitale, dal canto suo, ha adottato un regolamento di 35 pagine comprensivo di cartine e planimetrie delle postazioni autorizzate. E si può continuare a cercare, e trovare norme apposite per ciascun comune italiano. Ovviamente non mancano norme di buon senso, come il rispetto delle aree archeologiche o le norme di contrasto all’accattonaggio, ma viene da chiedersi se fossero davvero tutte così necessarie. Se sia in sostanza necessario, per un aspirante musicista, sobbarcare tutti questi oneri burocratici per una innocua esibizione.
Il paradosso è che anche quando queste norme vengono seguite, la multa può arrivare lo stesso. Il violoncellista Fabio Cavaggion, nella primavera del 2014, ha ricevuto una sanzione amministrativa per avere iniziato la sua esibizione in strada cinque minuti prima di quando gli era consentito. La risposta è arrivata con un flash mob di cento strumentisti armati dei loro violoncelli e guidati dal compositore Giovanni Sollima che hanno suonato nella piazza romana dove Cavaggion era stato multato.
Il problema dunque c’è, è reale.

Questione di dilettantismo?

Le vittime di questa ipertrofia burocratica non sono solamente musicisti di strada. Con questi personaggi che colorano le nostre passeggiate siamo portati a solidarizzare spontaneamente, nonostante non si possa parlare di essi come di musicisti veri e propri, ed è normale che sia così.
Anche i musicisti di lungo corso, i professionisti affermati, possono essere oggetto della longa manus del legislatore. Per fare degli esempi basta sfogliare le cronache locali dei giornali italiani e trovare storie come quella di Francesco Villani.
Il Maschio Angioino, castello di Napoli e una delle principali attrazioni culturali della città, si è visto involontario protagonista di una vicenda di burocrazia musicale la scorsa estate.
Francesco Villani è un jazzista partenopeo con una lunga carriera alle spalle. Dischi incisi con la Universal, collaborazioni a perdita d’occhio. Un curriculum di tutto rispetto, insomma. Ebbene Francesco era stato invitato a suonare ad una celebrazione per un matrimonio nella fortezza. Eppure, al momento di sedersi al pianoforte, gli è stato negato il diritto di esibirsi. Il motivo? L’assenza del diploma del conservatorio.
Difficile mettere in questione la competenza di un musicista per l’assenza di un foglio di carta. Certo, la questione del valore legale dei titoli di studio meriterebbe una più approfondita analisi, ma in questo caso un po’ di sgomento quantomeno rimane.

Diploma e diplomazia

Si potrebbe facilmente obiettare che questi casi, per quanto eclatanti, siano eventi infrequenti.
Ma se andiamo a guardare il rapporto tra musica e norme da un’altra prospettiva, quella dell’istruzione, le cose non migliorano affatto. Il comune denominatore di queste situazioni è la presenza di una legislazione cavillosa e che spesso è ignota ai più, e soprattutto a chi ad essa sarebbe tenuto a sottostare. Certo, si tratta di provvedimenti nati con i migliori auspici, ma che spesso portano con sé un novero di conseguenze inintenzionali molto dannose. L’esempio più lampante, per quel che riguarda la legislazione culturale è forse la norma che ha istituito l’attuale sistema dei conservatori. L’introduzione dei nuovi ordinamenti, animata dall’obiettivo nobile di parificare l’istruzione superiore musicale con quella universitaria convenzionale ha reso decisamente complicata la vita a chi voglia intraprendere la via della formazione musicale.
Le leggi 508/99 prima e 268/02 hanno reso i titoli di studio musicali equipollenti con quelli delle normali università. Da questa meritevole intenzione però, è scesa una valanga di norme che ha reso difficile la vita di chi volesse intraprendere una carriera musicale fin dall’infanzia. Da ciò, però, ne è discesa la necessità di avere un diploma di scuola superiore per gli aspiranti musicisti e, cosa non meno importante, ha reso quasi impossibile lo studio musicale per chi debba anche sostenere un altro corso di laurea. A meno di non volersi rivolgere ad insegnanti privati, naturalmente. Essendo però al tempo stesso abolita la possibilità di ottenere un diploma “da privatista“, gli studenti che non entrano in conservatorio risultano automaticamente esclusi dalla possibilità di ottenere riconoscimenti ufficiali.
E l’assenza di questi riconoscimenti porta a conseguenze tanto buffe quanto umilianti. Citofonare Villani per una conferma.
La nuova disciplina non ha contribuito neppure a sanare i problemi didattici in senso stretto, problemi cronici che affliggono la scuola e la ricerca italiana. L’assimilazione del conservatorio al modello universitario, con l’adozione del sistema dei crediti, ha portato ad un ampliamento a dismisura dei corsi da sostenere per l’aspirante musicista. Corsi che distolgono spesso l’attenzione dall’attività regina dell’aspirante musicista, la pratica strumentale. Neppure sul fronte del reclutamento le cose sono migliorate.
Nonostante la differenziazione degli insegnamenti avrebbe dovuto portare ad una nuova richiesta di competenze, gran parte degli istituti hanno semplicemente rimestato nel loro corpo docenti anche per adeguarsi ai nuovi corsi. E quando l’assunzione di nuovi docenti si è resa indispensabile, i regolamenti e le graduatorie per i nuovi assunti sono diventati oggetto di ripetuti ricorsi.
Ma non è ancora abbastanza. Anche la Stampa, in una recente inchiesta firmata da Sandro Cappelletto, ha fotografato una situazione sconfortante da tutti i punti di vista (o quasi). Le cause di questo declino, secondo chi ha risposto alle domande del critico, sono interessi corporativi, sistemi di reclutamento inefficaci ed inerzia politica.

Uno sguardo oltre il confine

Forse a questo punto appare più chiaro il problema.
Le leggi ci sono, ma sono troppe. Talvolta sono in disaccordo tra di loro. Naturalmente si, ci sono interventi da fare attivamente, regole da costruire e non solo da smontare. Gli esempi dall’estero non mancano.
La Gran Bretagna ha un modello utile per prendere spunti legislativi. Se uno dei problemi della nostra attuale situazione è che si accede all’educazione musicale troppo tardi, la soluzione potrebbe somigliare ai Music Education Hub.
Si tratta di istituzioni che lavorano dentro e fuori le scuole, tramite un cofinanziamento pubblico e privato, e che seguono attraverso tre gradini l’educazione musicale dei bambini, dai 5 ai 19 anni, monitorando fin dall’infanzia i possibili talenti ma senza rinunciare a dare un’infarinatura a tutti gli studenti.
Qualche mese fa persino Ennio Morricone si era espresso in maniera molto chiara sui problemi dell’istruzione musicale italiana. Forse è il caso di prendere la questione sul serio?

E le pratiche per il reclutamento sono anch’esse d’esempio. Nell’inchiesta di Cappelletto, un docente di Lucca racconta: “È tutto semplice e logico: non esistono graduatorie, viene indetta una selezione internazionale sulla base dei profili professionali e artistici, il candidato prescelto deve dimostrare di essere in grado di insegnare di fronte ad una commissione che assiste e giudica una lezione su argomenti comunicati al docente 24 ore prima.“ Ovviamente la Gran Bretagna ha un sistema educativo ben diverso dal nostro, e non si può fare un copia e incolla delle norme. Ma il modello di una formazione musicale avanzata fin dai primi anni, gestita da docenti con competenze soprattutto didattiche, può fornire quantomeno una stella polare a cui fare riferimento.
Un altro buon intervento, fattibile e a costo zero, sarebbe quello di ripristinare la possibilità di ripristinare la possibilità di diplomarsi come privatisti, almeno per quel che riguarda lo strumento. Molti conservatori hanno già dovuto applicare delle deroghe e molti studenti hanno presentato ricorsi ai tribunali amministrativi per accedere a questa possibilità. A ciascuno la possibilità di studiare come vuole, sottoponendo poi tutti allo stesso esame.
Il panorama musicale in Italia non è moribondo in nessun senso, ma si trova in una fase di costante stagnazione da circa una decina di anni. Sicuramente non è solo la questione regolamentare a tenere a freno il mondo della musica in Italia. Ma spesso queste stesse regole creano delle barriere all’ingresso tali da scoraggiare molti a tentare una carriera o anche uno studio nei campi della musica. Probabilmente una sapiente opera di deregulation potrebbe aiutare tanto aspiranti virtuosi quanto dilettanti volenterosi e semplici curiosi. Togliere un po’ di lacci e lacciuoli per far suonare chi ne è in grado. Per poi pensare ad aiutare chi magari non può mettere a frutto il proprio talento, al conservatorio, al Maschio Angioino, a casa propria.
Anche per strada, magari. Senza dover rischiare una multa.

Filippo Simonelli


 

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