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Le prime luci della nuova stagione di Santa Cecilia

di Filippo Simonelli - 20 Ottobre 2020

Bruckner e Mahler come antidoto alle ansie da distanziamento sociale

Come sempre, quando si parla dell’orchestra di Santa Cecilia si dà per scontato che il livello sia alto di per sé: l’organico è di livello mondiale, ed è cosa nota, e oramai il livello di affiatamento tra l’Orchestra e lo storico direttore Antonio Pappano è tale da permettere di lavorare agevolmente anche in condizioni che farebbero sudare buona parte delle altre orchestre di tutta Europa.

Il programma dell’apertura, decisamente coraggioso nella situazione attuale, sembra poi costruito proprio a pennello per il binomio del direttore britannico e la sua orchestra: il Te Deum di Bruckner e Das Lied von der Erde di Mahler sono due delle punte estreme del tardo-romanticismo che è da tempo marchio di fabbrica dell’orchestra romana. Assieme ad essa si è esibito il coro in grande spolvero, alla cui guida Piero Monti, subentrato lo scorso anno all’amatissimo Ciro Visco, ha oramai assunto una guida ben salda e in perfetta sintonia con la visione artistica del direttore musicale stesso.

Il primo respiro bruckneriano

Il Te Deum di Bruckner che è nato dall’interazione tra le due anime dell’Accademia restituisce un risultato sonoro coinvolgente e perfino prodigioso a tratti dal punto di vista sonoro. I bilanciamenti tra coro e orchestra sono sempre studiati al millimetro, così come all’interno della compagine strumentale i passaggi più rumorosi e quasi bombastici dei tutti bruckneriani avevano la stessa alta definizione dei soli più delicati affidati al primo violino di Andrea Obiso. I quattro solisti, provenienti dalla compagine corale, hanno saputo brillare di luce propria alternandosi e collaborando di volta in volta con tutto l’insieme, oppure ognuno con l’altro, regalando un Bruckner assolutamente all’altezza delle aspettative. C’è da dire che il valore simbolico della scelta di proporre questo come primo brano della stagione è grande: la preghiera che Bruckner mette in musica, quella del Te Deum, è un lungo canto di ringraziamento che viene recitato a fine anno dai fedeli come commiato all’anno appena trascorso. In questo caso il ringraziamento del coro e dell’orchestra, che peraltro portano anche il nome della Patrona della Musica stessa, è stato anche quello di aver ripreso la propria attività, così duramente compromessa dai recenti avvenimenti. Si può rilevare anche un altro aspetto simbolico, legato alla vicenda biografica di Bruckner e alla posizione di questo brano nel suo catalogo, ma mi riservo di tornarci più tardi perché c’è un parallelo davvero interessante che si intreccia con la parte mahleriana del concerto.

L’importanza di Mahler

Anche Mahler, naturalmente, ha fatto un figurone: Das Lied von Der Erde, una sinfonia mascherata da raccolta di lieder, escogitata con questa formula secondo alcuni per far sfuggire la “maledizione della Nona” al suo creatore, rientra perfettamente nei canoni estetici in cui l’Orchestra di Santa Cecilia brilla al massimo. Sparisce il coro, entrano due nuovi solisti del microcosmo wagneriano, il soprano Gerhild Romberger ed il tenore Clay Hilley, l’atmosfera diventa più cupa. I sei lieder che compongono la raccolta si susseguono in maniera spontanea e naturale nell’alternanza di atmosfere che vengono curate e rese in maniera struggente – ma non stucchevole – dall’interpretazione della compagine romana. Dovendo scegliere, tra i due cantanti è globalmente più convincente Hilley ma si tratta di uno scontro di altissimo livello; c’è anche da aggiungere che lo sforzo richiesto alla Romberger è sicuramente maggiore, visto lo sforzo che comportano i quasi trenta minuti di Der Abschied, che più che un lied è un brano che fa storia a sé.

Questione di simboli

Entrambi questi brani occupano un posto particolare nel catalogo dei rispettivi autori: Bruckner era particolarmente soddisfatto del suo Te Deum, tanto da considerarlo un proprio personale punto di vertice. La soddisfazione era tale che nel 1896, all’apprestarsi della sua morte e resosi conto che difficilmente avrebbe potuto ultimare la sua nona sinfonia, richiese espressamente che il Te Deum sostituisse il quarto movimento mancante dopo il terrificante adagio. Lo stesso Mahler era un grande ammiratore della partitura bruckneriana; Alma racconta che sulla sua copia avesse sostituito l’indicazione originale (per coro, soli e orchestra con organo ad libitum) con la frase “per le voci degli angeli, benedetto dal Cielo, cuori pentiti e anime purificate dal fuoco”, quasi a rendere palpabile la spiritualità che trasuda da questo brano.

Das Lied von Der Erde invece rappresenta una delle opere “postume” di Mahler, che questi non potè mai ascoltare in vita. La raccolta è basata su una serie di versi di poeti dell’estremo oriente, cinesi per l’esattezza, tradotti dal poeta tedesco Hans Bethge; i lieder sono portatori di una spiritualità diversa, la prima eminentemente religiosa e cattolica, la seconda quasi universale o panteistica in una qualche misura. L’accostamento funziona, sia per la prossimità linguistica degli autori sia per le interconnessioni che l’orchestra ed il coro, grazie al sapiente lavoro di Pappano e Monti, mettono in mostra con la più grande chiarezza desiderabile.

Infine la scelta di aprire una stagione con un programma di questa caratura e di questa portata è un messaggio di speranza, oltre al ringraziamento insito nelle parole del Te Deum: la speranza che questi eventi, così meravigliosi e al tempo stesso “sicuri” possano gradualmente tornare ad essere una sorta di normalità; la speranza che questa stagione 2020-2021 possa proseguire senza diventare una corsa ad ostacoli, e che soprattutto la musica di cui si è potuto godere in questo lungo weekend di inaugurazione possa continuare ad essere portata avanti ad un livello così alto da un’orchestra del genere. Ne abbiamo bisogno tutti, ora più che mai.

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