Gian Marco Ciampa e l’Orchestra Giovanile di Roma, breve storia di un concerto per chitarra
di Filippo Simonelli - 7 Giugno 2019
L’Istituzione Universitaria Concerti di Roma ha terminato la sua stagione in Aula Magna con un evento molto particolare, il concerto dell’Orchestra Giovanile di Roma con solista d’eccezione il chitarrista romano Gian Marco Ciampa. L’Orchestra, una realtà che oramai si è affermata sulla scena capitolina da un decennio sia per la formazione strumentale che per i primi approcci orchestrali per i giovani musicisti, è diretta dal Maestro Vincenzo Di Benedetto.
Il concerto, pur inserito tardivamente in cartellone, ha avuto un riscontro di pubblico veramente notevole. Vuoi per la presenza di un carismatico ma inusuale solista, come Ciampa, capace di mobilitare tutto il microcosmo chitarristico di Roma e dintorni; vuoi anche per gli esperimenti comunicativi della nuova piattaforma social dell’istituzione della Sapienza, sapientemente battezzata IUCTube, fatto sta che ad accogliere la Giovanile di Roma c’era una Aula Magna degna delle migliori serate.
Il programma si è articolato in maniera piuttosto inconsueta: Ciampa è stato protagonista non di uno, ma di due brani per chitarra e orchestra che hanno occupato tutta la prima parte del programma. La scelta è probabilmente spiegabile con la necessità di allestire l’amplificazione della chitarra, ma forse ha sbilanciato il peso e l’interesse del concerto troppo verso la prima parte. Il chitarrista romano si è esibito in due pezzi decisamente non comuni nel repertorio: il Capriccio Diabolico di Mario Castelnuovo-Tedesco in versione per chitarra e orchestra, addirittura una prima italiana, e il Primo concerto dello stesso autore. Il Capriccio Diabolico è sicuramente un interessante esercizio di stile per il compositore, che si è trovato a trasformare la polifonia chitarristica nell’universo sonoro dell’orchestra pur lasciando lo stesso strumento come solista, ma la resa è un po’ incompleta a causa di un non meglio deficit problema dell’impianto di amplificazione. Chi conosce bene il pezzo, di cui Ciampa è spesso e volentieri interprete consumato nella versione solistica, riesce a seguire anche solo orientandosi con le reminiscenze che arrivano chitarra, ma un ascoltatore inesperto rischia di non godere a pieno dell’efficacia del gioco timbrico ideato da Castlenuovo-Tedesco.
Dopo un breve intervallo, in cui è stato messo a punto sicuramente l’audio, arriva il pezzo forte della serata. Castelnuovo Tedesco ha ideato il primo Concerto per Chitarra e Orchestra quando aveva già una certa familiarità con lo strumento, complice la vicinanza e la consulenza di Segovia: per questo motivo l’orchestra con cui si confronta il solista è un ensemble quasi cameristico, senza far venire meno però i possibili colori di ciascuna sezione strumentale. Ne nasce un intreccio elegante ma energico, in cui le scelte di Vincenzo Di Benedetto, direttore sì ma anche chitarrista e docente, caratteristica quest’ultima che traspare molto nel suo modo di approcciarsi all’orchestra, che si integrano in maniera perfettamente naturale con gli slanci del solista senza sovrapposizioni o sbavature, creando di volta in volta un dialogo con gli strumenti che il compositore lascia emergere dal disegno orchestrale, fino a culminare in una deliziosa cadenza, il vertice indubitabile del concerto.
La prima parte del concerto si è conclusa con un immancabile bis del solista, il Mazurka Choro di Heitor Villa-Lobos.
La seconda parte del concerto, che il rito vorrebbe essere formata da un grande pezzo sinfonico, è invece decisamente più rapsodica e meno compatta, complici anche i cambi di programma che hanno reso la preparazione di questo programma piuttosto travagliata: apre il breve Andante Festivo di Sibelius, nella versione per Orchestra d’Archi, seguito poi dal Terzo Entr’acte da Rosamunde, Principessa di Cipro di Schubert, celebre anche per essere costruito con lo stesso materiale tematico dell’Improvviso in Si Bemolle maggiore dello stesso autore. Sia l’Andate che buona parte dell’Intermezzo hanno un carattere melodioso ma solenne, in cui l’orchestra non brilla particolarmente, mentre nelle sezioni in minore del brano schubertiano si è messo in luce il clarinetto solista, Adriano Ricci. Chiude il concerto una selezione di brani in forma di danza di Mozart e Beethoven, un finale gaio e spensierato ma proprio per questo carattere fin troppo in contrasto con la musica che lo aveva preceduto.
Cosa ci può insegnare un evento del genere? In linea di principio, potrebbe sembrare un azzardo quello di affidare la stagione di una istituzione così grande come quella dell’Ateneo romano ad un’Orchestra Giovanile, per quanto affiancata da un solista di grido. Certamente, l’Orchestra Giovanile ha ancora molte debolezze fisiologiche che sono connaturate in un progetto che lavora su musicisti in gran parte ancora in formazione, ed in alcuni tratti, nonostante il lavoro di bilanciamento di Di Benedetto, è emersa la differenza con il solista. Ma scegliere di affidare un compito così oneroso ad un’Orchestra composta prevalentemente da ragazzi, alcuni più smaliziati e già avviati ma altri sicuramente ai primi step della carriera ha il pregio anzitutto di responsabilizzarli, e al tempo stesso di avvicinarli alla vera e propria esperienza che si spera diventerà un giorno il loro pane quotidiano.
Filippo Simonelli