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Breve storia del minuetto, in ventuno brani

di Filippo Simonelli - 27 Aprile 2019

L’associazione più comune che si fa pensando alla parola minuetto, oltre alla celebre canzone di Mia Martini, è quella del ballo di corte, rigorosamente pensato per una coppia incipriata e imbelletata che inizia una timida danza dopo una serie di cerimoniosi rituali. Nel corso della storia della musica però la forma minuetto si è presto staccata dalla sua funzione coreutica, divenendo componente autonoma prima delle suites e poi di sonate e persino sinfonie. Tracciare un filo rosso che unisca la produzione, potenzialmente sterminata, che si cela dietro questo nome è l’obiettivo ambizioso del disco Minuetto – l’arte della danza regale del pianista Alessandro Stella, pubblicato dall’etichetta KHA Records.

Il minuetto è generalmente il movimento più “tranquillo” nelle grandi forme del periodo classico, dicevamo: una forma di danza, relativamente stabile e prevedibile nel suo intersecarsi col trio, che getta un ponte tra il movimento lento e meditabondo e un gran finale. L’idea che c’è alla base di questo piccolo ma meritevole disco è quella di provare a dimostrare che dietro le quattro sillabe che compongono la parola minuetto c’è qualcosa di più. E così nasce un lungo excursus storico che dai minuetti barocchi, di autori celebri come Bach o Purcell ma anche oscuri come Krieger e Giustini – alzi la mano chi è tra i sei ascoltatori mensili che spotify, candidamente, gli attribuisce – arriva fino a Ricardo Viñes, Barber e Ravel, passando attraverso gli spigolosi ritmi compositi di Brahms e i guizzi virtuosistici di Albenìz.

Cambiano tutti i parametri possibili, in questi minuetti: la durata, che spazia dal minuto scarso di Zipoli fino ai sei minuti di Dvorak, lo spirito, l’intensità e il grado di virtuosità richiesto. A ciascuno di essi si adatta con gran gusto Alessandro Stella, il pianista deputato a questa inusuale impresa. E per gran gusto non intendo solo una valutazione estetica sul suo pianismo, peraltro veritiera, ma anche l’idea che trasmette tutto il disco: che sia stata una sfida intrapresa con grande soddisfazione. La performance è omogenea, anche se spicca una certa predilezione per il minuetto barocco fino al primo classicismo: parte inevitabile del retaggio di questa forma e della sua vocazione originaria, ma anche deformazione professionale del pianista, che per anni è stato animatore della Rassegna “Le cinque perle del Barocco”, serie di concerti nelle Chiese del Barocco Francese a Roma. Proprio per questo è interessante notare come la scelta per l’esecuzione sia ricaduta su un pianoforte moderno – il disco è stato inciso su uno Steinway D – a discapito di strumenti “storici” che avrebbero potuto restituire più fedelmente l’evoluzione della sonorità del minuetto che accompagna l’evoluzione armonico-timbrica che invece è il tratto dominante del progetto.

Dulcis in fundo, una segnalazione a parte la merita la deliziosa copertina realizzata dal grafico Bruno Melappioni: pochi tratti essenziali, due figure stilizzate impegnate nella loro danza senza aggettivi su uno sfondo pallido, ideale rappresentazione grafica del materiale sonoro custodito dietro la sua superfice.

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