C’è un organo da salvare in Liguria
di Filippo Simonelli - 6 Settembre 2017
La scorsa settimana si è concluso il Convegno dei compositori di musica sacra organizzato dall’Associazione di Santa Cecilia. La Stampa ha riportato l’evento con un titolo tranchant, un po’ acchiappaclick, come “basta brutta musica in Chiesa”. Già, perché a quanto pare in Chiesa, o meglio nelle chiese, da un po’ di tempo a questa parte si fa musica brutta.
In effetti è una sensazione diffusa che ultimamente ci si sta perdendo qualcosa. Chi ha una formazione musicale sa a cosa erano abituati i fedeli dei secoli passati e come la Messa e il suo contraltare musicale fossero inscindibilmente legati. Lo sviluppo della musica Sacra si è legato nei secoli a doppio filo con tutta la fioritura della musica occidentale, partendo dalla polifonia fino ad arrivare alle enormi messe del tardo romanticismo o ai salmi di Stravinski e al minimalismo sacro dell’Europa dell’Est.
Uno dei segni più tangibili di questa eredità sono i maestosi organi che le chiese più antiche ospitano, alcuni un po’ celati, altri semplicemente troppo grandi e troppo belli per non essere notati. Il problema è che, con questa avanzata della musica brutta, anche gli organi, strumenti sacri per eccellenza, ne risentono pesantemente. I costi di manutenzione non sono facili da sostenere, specie per le piccole comunità che si sono trovate in eredità un gioiello secolare. E forse anche di questo dovremmo iniziare a preoccuparci.
Salviamo l’organo di Senarega
Ovviamente non tutta la musica sacra italiana langue, e anche maestri di fama mondiale continuano a scrivere messe ed oratori. Ennio Morricone, su tutti, ha dedicato una messa a papa Francesco, pochi anni fa, e le commissioni continuano ad arrivare. Ma al di fuori dei grandi centri la situazione è diversa.
L’organo di Senarega, una piccolissima comunità di poche decine di anime immersa nella Valbrevenna, risponde perfettamente al tipo di strumento che dovremmo tenere a cuore. Si tratta di un organo costruito dalla famiglia Locatelli a fine ottocento, trasportato da Bergamo a dorso di mulo, che ha allietato per decenni i fedeli liguri. Ma ora le cose non vanno più come dovrebbero: già nel 2009 l’organo rischiava di essere condannato al silenzio. Fu una provvidenziale donazione del quotidiano Il Foglio con un appello per raccogliere i fondi a prolungare la vita del magnifico strumento, seguita poi da uno stanziamento di fondi da parte dell’allora ministro della Cultura Bondi.
Ma oggi, otto anni dopo, la sua sopravvivenza è di nuovo a rischio, stavolta a causa dell’inattività. I parrocchiani, guidati dal giovane storico Matteo Muzio, hanno organizzato una raccolta fondi su IndieGogo per dare una nuova speranza all’organo e soprattutto poter pagare qualcuno che suoni questo strumento.
C’è più di un solo organo
Se davvero abbiamo a cuore il futuro della musica, dobbiamo iniziare a renderci conto di alcune cose. Che la musica costa, che chi la fa ha tutto il diritto a ricevere un compenso, e che ci dobbiamo rimboccare le maniche in prima persona, se vogliamo davvero salvarci dalle schitarrate da campeggio spacciate per musica sacra. E lo dice chi, suo malgrado, a queste schitarrate ha preso parte più e più volte.
Partecipare ad una raccolta fondi è una cosa piccola in fondo, ma gratificante. Per chi fa musica poi dovrebbe avere un valore aggiunto. Oltre ad essere una assicurazione contro la musica brutta, è il primo passo per far rinascere la consapevolezza che la musica è un patrimonio di tutti e che tutti, se vogliamo, possiamo contribuire a restituirle il posto che merita.
Il link alla raccolta fondi lo trovate qui