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Riscoprire il repertorio italiano: la “Piano Renaissance” di Umberto Jacopo Laureti

di Filippo Simonelli - 28 Settembre 2020

La musica pianistica italiana di fine Ottocento non ha mai avuto, finora, l’attenzione che meriterebbe. Potrebbe essere l’ora di cambiare qualcosa.

Per molti l’Ottocento è stato il secolo d’oro della musica operistica in Italia. O meglio, questo è un dato di fatto ineludibile, i cui effetti si ripercuotono ancora oggi sulle programmazioni dei nostri teatri, sui modelli dei giovani compositori e in fondo sulla nostra identità culturale. A far le spese di questo trionfo dell’opera sono stati gli altri generi compositivi, che furono esplorati relativamente meno dai compositori italiani fino a buona parte della seconda metà dell’Ottocento, quando la generazione di musicisti come Martucci e Sgambati mise un po’ il naso fuori dai teatri dedicandosi alla musica da camera (specie il primo) e a quella sinfonica (è il caso del secondo). La musica pianistica ha ritrovato progressivamente importanza in una fase ancora successiva, quella che nei manuali di storia della musica facciamo coincidere con la cosiddetta generazione dell’ottanta: Respighi, Casella e Busoni per esempio.

A questo patrimonio musicale ha scelto di attingere il giovane pianista Umberto Jacopo Laureti per costruire quella che ha definito, con una certa velleità, una “Piano Renaissance, dove questo francesismo assume una doppia valenza: da un lato la rinascita del pianoforte per mano dei compositori poc’anzi menzionati, dall’altro una ripresa dei legami che questi – ciascuno in modi peculiarissimi – hanno coltivato con la musica del rinascimento fino agli albori del barocco.

Una scelta inusuale per un disco di un pianista, specie così giovane. Ne abbiamo approfittato per parlare direttamente con lui di questo progetto, del suo prossimo recital a Roma nel secondo dei Villa Borghese Piano Days e di musica contemporanea, per dire le cose essenziali.


Quindi cos’è Piano Renaissance?

Il progetto allude fin da subito al periodo di rinascita strumentale italiana, ma per molti non è di immediata comprensione: mi è stato chiesto persino se fosse un progetto di new age, tra le varie cose. In realtà ho voluto esplorare questo grande lascito pianistico che ancora oggi viene considerata poco più che una rarità e non riesce ad entrare nel repertorio mainstream. Ho iniziato ad interessarmi al repertorio italiano, tuttavia, tramite Liszt, ma il Liszt già maturo che dopo aver preso gli ordini minori si era trasferito in Italia. Tra le composizioni di questo suo periodo più mistico ce n’è una che mi colpì particolarmente, l’Evocazione della Cappella Sistina, in cui ha sintetizzato e variato temi dal Miserere di Allegri e poi dell’Ave Verum di Mozart. C’è tutto un legame biografico tra la vicenda del giovane Mozart, che aveva trascritto il Miserere di Allegri avendolo ascoltato una sola volta proprio alla Cappella Sistina, e la sua musica sacra filtrate poi nell’esperienza pianistica di Liszt.


E a voler rintracciare un altro legame biografico, c’è da dire anche il fatto che Liszt fu Maestro di Sgambati, uno dei primi artefici di questa rinascita

Esatto, è stata una delle mie prime idee. Poi ho sviluppato una grande fascinazione per Busoni, che più di tutti è riuscito a coniugare il mondo italiano con quello mitteleuropeo. La sua musica non è mai decollata così tanto, rispetto magari a parte del repertorio di Respighi. Alla sua epoca era una superstar del pianoforte e anche come compositore. Mi ha colpito il suo lavoro, meno noto, come riscopritore della tradizione musicale italiana: è stato il primo a dare come preciso riferimento quello di guardare alla musica del passato, in un articolo dedicato proprio a Sgambati pubblicato sulla Neue Zeitschrift für Musik insistendo sul bisogno di coniugare i linguaggi a lui contemporanei con l’identità stilistica del passato. Quando ho trovato l’articolo ho pensato: “ecco il tassello che mi mancava per collegare i due mondi”, i miei interessi del repertorio pianistico e così ho approfondito la ricerca su Busoni che ha illuminato tutta la mia ricerca e ne rappresenta un punto di arrivo in un certo senso.

“L’Allgemeines Deutsche Musikverein, quale personificazione delle tendenze moderne della musica tedesca, saluta in Giovanni Sgambati l’inviato e il rappresentante della musica italiana e lo scrivente è orgoglioso che a lui, quale compatriota di Sgambati, sia demandato il grato compito di esprimergli un cordiale saluto e dargli il benvenuto.”

(Da “Giovanni Sgambati: Studio illustrativo dello stato attuale della musica in Italia” in “Lo sguardo lieto: tutti gli scritti sulla musica e le arti” di Ferruccio Busoni, a cura di Fedele D’Amico, ed. Il Saggiatore)

Anche Respighi ha fatto un lavoro fondamentale per la riscoperta del repertorio scomparso ed anche per il mio progetto: lavorando con i fondi delle biblioteche ed imparando man mano ad avere sempre più confidenza con notazioni antiche, le sue trascrizioni hanno arricchito il lavoro della generazione dell’ottanta di riscoperta del repertorio strumentale italiano.

Casella poi merita un discorso a parte, perché se Busoni guardava chiaramente alla Germania (e Respighi aveva svolto parte della sua formazione con Rimskij-Korsakov, ndr), Casella è invece il rappresentante del versante francese: la sua Toccata che ho inserito nel mio disco è molto imparentata alla Toccata di Debussy della raccolta Pour le Piano: è nella stessa tonalità, ha disegni molto simili per esempio. E rappresenta soprattutto un modo diverso di approcciarsi alla musica strumentale per un compositore italiano, ovvero non affidandosi a trascrizioni ma importando – per così dire – un approccio strumentale nuovo come quello di Debussy e dei compositori francesi del suo tempo.

Questo programma, in gran parte, confluirà nel tuo concerto al secondo dei Villa Borghese Piano Days, con un piccolo intruso Beethoveniano.

Ho accettato la sfida dei Villa Borghese Piano Days con entusiasmo dopo aver ricevuto l’invito di Massimo Spada. Diciamo che rispetto al programma originario dell’album ho fatto dei tagli dolorosi ma necessari: la musica di Frescobaldi per esempio non mi sembrava adatta, specie se il concerto fosse stato all’aperto come si pensava all’inizio (i concerti saranno al chiuso per necessità legate alla questione sanitaria, nda), quindi ho aggiunto una sonata di Beethoven, l’op. 109.

In realtà è un approccio che adotto sempre più spesso quello di affiancare una rarità ad un pezzo di repertorio, per cercare di valorizzare sempre di più la musica che scopro; e poi in realtà un omaggio a Beethoven nell’anno dei 250 anni dalla nascita non si poteva non fare. Noto spesso che se il pubblico si avvicina ad un concerto con un pezzo più famoso, che già conosce, riesce poi anche ad apprezzare le nuove proposte, che siano scoperte antiche oppure musica di oggi.

Non posso non farti ora una domanda sulla musica contemporanea: che rapporto hai con la musica che si scrive oggi?

Tra i grandi ora sono molto dentro al filone della musica scandinava: mi piace molto Hans Abrahamsen, mi piace molto Bent Sørensen, di cui sto studiando della musica adesso. Apprezzo molto Thomas Adès, e il mondo sonoro in cui in generale lavorano questi compositori. Poi ho molti amici compositori, ed è divertente lavorare con loro, vedere alcuni pezzi scritti per me e mettere in piedi una stretta collaborazione tra autore ed interprete da cui nascono cose interessanti. È il caso per esempio di Michele Sarti [che è anche un nostro autore, potete trovare alcuni suoi pezzi scritti per noi qui ndr] che ha da poco scritto un Notturno molto bello per me, o del mio compagno di studi a Londra Matthew Olyver che mi ha dedicato un concerto per pianoforte e piccolo ensemble. Anche loro sono molto vicini ai modelli che ho citato prima, quindi mi trovo veramente a mio agio.

Nella musica di oggi molto è cambiato anche nel panorama tecnico e didattico: come ti trovi ad insegnare?

Io insegno, al momento alla scuola civica della mia città San Benedetto del Tronto mentre sto continuando a perfezionarmi con dottorato a Londra. Negli ultimi anni ho sempre insegnato, e penso che sia una parte imprescindibile dell’essere musicista quella del trasmettere le proprie conoscenze. E spesso è utile anche per rimettere ordine nelle proprie conoscenze, riordinare le proprie abilità tecniche. Sicuramente aiuta a razionalizzare le conoscenze acquisite, eventualmente anche semplificare cose che si son sempre fatte in un certo modo ma che si possono migliorare e rivedere col tempo.

E per il futuro che progetti hai?

Adesso sto lavorando per formare un trio con clarinetto; già ora mi trovo spesso a suonare con una mia amica clarinettista, Marta Nizzardo anche se trovare il terzo membro è ancora un work in progress ma mi piacerebbe costruirci sopra un progetto a lungo termine.

Poi ho avuto modo con la musica da camera di sviluppare il mio amore per la liederistica, anche quella italiana fatta da un repertorio di compositori magnifici, come quelli che ho citato prima o anche Pizzetti, Tosti. Pagine splendide che non vengono ascoltate mai, con testi di D’Annunzio o comunque appartenenti a quell’universo lirico e sonoro.

E secondo te perché in generale, tralasciando quella di tradizione italiana che purtroppo è ancora più minoritaria, se ne sente così poca di liederistica nel nostro paese?

Penso che comunque la liederistica, come il sinfonismo o la grande musica da camera, sia sentita ancora oggi come appartenente più alla tradizione mitteleuropea: quando lavoriamo con la voce in Italia è fatto quasi sempre con riferimento al mondo dell’opera. Abbiamo quasi una barriera rappresentata da questa tradizione mastodontica che per certi versi ci fa perdere l’opportunità di ascoltare musica raffinatissima.

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