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Dove va la musica da camera?

di Filippo Simonelli - 20 Febbraio 2019

Intervista col Quartetto Guadagnini

Il Quartetto Guadagnini è una delle formazioni che si sta affermando nel panorama cameristico italiano negli ultimi anni. Dopo gli esordi nel lontano 2012 la formazione è passata attraverso numerosi cambiamenti di organico e anche di concezione musicale che l’hanno condotta ad esibirsi nelle principali stagioni musicali in Italia e all’estero, ad essere chiamati come docenti da importanti istituzioni in Italia e nel mondo e a sbarcare in CD con la pubblicazione dei Quartetti di Brahms e Dvořák in una recente pubblicazione curata da Amadeus. Oggi il Quartetto, composto da Fabrizio Zoffoli, Cristina Papini, Matteo Rocchi ed Alessandra Cefaliello si cimenta in un progetto mozartiano, con la voce recitante e divulgante di Sandro Cappelletto.

Nota per il lettore: per quanto possa apparire controintuitivo, il Quartetto è una formazione estremamente “corale”, quindi gran parte delle risposte sono risposte condivise oppure che vengono date letteralmente in coro; qualora ci siano interventi individuali sono espressamente annotati.

Partiamo dall’inizio: perché avete scelto il nome “Quartetto Guadagnini”?

Cristina si assume l’onere di rompere il ghiaccio: gli altri la guardano come una persona che sa il fatto suo: Il nome Quartetto Guadagnini nasce da un nome celebre della liuteria italiana, uno dei più celebri del ‘700 per la precisione. È un grande nome anche per dare un senso forte di appartenenza italiana al Quartetto, anche per portare il nostro nome all’estero e dare un forte collegamento con il nostro paese e la nostra formazione.

Nel corso del tempo avete avuto numerosi cambi di formazione, e di repertorio, trasformando una realtà piccola in un progetto sempre più ambizioso e ricercato. Quali sono stati i passaggi più importanti della crescita di questo Quartetto?

Abbiamo iniziato a suonare insieme nel 2012, e la prima idea che abbiamo avuto è stata la necessità di andare a cercare dei buoni insegnanti, in Italia e all’estero; una delle esperienze più significative è stata sicuramente l’incontro con Hatto Bayerle, storica viola del Quartetto Alban Berg, che ci ha letteralmente riempito di informazioni su materie ed argomenti che per noi erano completamente sconosciute; ad esempio ha insistito molto nel darci una formazione sulla retorica del quartetto, cose che anche i più validi insegnanti in Italia difficilmente mettono sullo stesso piano di importanza. Certo, le abbiamo incamerate ed elaborate in maniera compiuta con il tempo. Quello di Bayerle è un esempio, anche perché è stato uno dei nostri primi insegnanti, ma abbiamo accumulato tantissimo nel corso del tempo ed è così che mattoncino dopo mattoncino ci siamo trovati a costruire un palazzo senza che ce ne rendessimo conto. Ovviamente non è ancora finita la costruzione, ma la crescita di ognuno di noi continua a portare novità e miglioramenti ogni giorno.

Anche i concerti, la scelta di determinati programmi e soprattutto l’approccio con la musica contemporanea ci hanno aiutato tantissimo. Non solo dal punto di vista tecnico esecutivo, ma anche per capire come ci si rapporta effettivamente con un compositore. Tutti noi passiamo una vita a studiare brani di compositori che hanno vissuto un’altra epoca, che non ci appartiene, anche se i loro capolavori sono musica senza tempo. Confrontarci con musica scritta oggi, per esempio quando abbiamo lavorato con Silvia Colasanti, invece ci aiuta a curare anche una dimensione diversa e complementare e capire cosa un compositore con una determinata scrittura si aspetti, ad esempio.

Di recente il Quartetto Guadagnini è sbarcato anche su CD, come cambia l’approccio dalla sala da concerto a quella di registrazione?

Noi siamo abituati alla registrazione in quanto tale. Anche come approccio di studio abbiamo preso l’abitudine di registrare le nostre prove per riascoltarci…

…Ma in studio dovrebbe essere diverso…

Certamente, anzi è stata sicuramente una delle esperienze qualcosa di diverso, anzitutto perché abbiamo lavorato con dei grandi professionisti come Michael Seberich, uno dei più grandi tecnici del mondo, che ci ha messo di fronte a tantissime nuove questioni. Abbiamo imparato soprattutto ad esagerare i tratti più significativi, esasperare un colore, per essere sicuri che nonostante il medium della registrazione la nostra idea musicale arrivi diretta come può venire da un concerto dal vivo.

Per Matteo suonare in concerto è un’esperienza sempre diversa: cambia l’acustica, la struttura della sala, la vicinanza col pubblico, le luci… certo, sono tutte cose che oramai abbiamo messo dentro al nostro bagaglio tecnico, ma in generale ci hanno insegnato che non è possibile mai suonare sempre nello stesso mondo.”

Il cd non è stato un vero e proprio punto di svolta, secondo Alessandra, ma di formazione sicuramente. È stato importante, ma non un cambiamento vero e proprio.

Ma il CD ha portato un’altra importante novità: il Quartetto Guadagnini infatti ha deciso di finanziare la produzione discografica con un crowdfunding, e si è trovato di fronte alla necessità di dover vendere ad un pubblico potenzialmente molto più grande di quello di una sala da concerto un prodotto che ancora deve nascere.

Prima di tutto devi vendere un progetto – esordisce Matteo – Una bella prova, senza dubbio. Abbiamo la fortuna che il nostro nome sia relativamente conosciuto in Italia, cosa che ci ha relativamente semplificato il compito, ma veramente la raccolta ci ha portato delle belle sorprese: anzitutto tantissima gente che ha scelto di credere in noi, dai parenti più lontani a grandi direttori artistici o musicisti che addirittura non immaginavamo ci conoscessero!

Abbiamo voluto provare per cercare una strada nuova… anche perché non c’erano molte alternative – chiosa realistica Alessandra – visto che ora come ora per lasciare un lascito duraturo per il CD è l’unico mezzo e nessun musicista al nostro livello almeno riceve offerte del tipo “voglio assolutamente che tu incida per me” o simili. A conti fatti è stata una bella iniziativa e soprattutto abbiamo ricevuto una risposta molto gratificante da un pubblico veramente più ampio delle nostre migliori aspettative.

Sicuramente una parte di questo successo è dovuta anche alla presenza importante che il Quartetto ha sui social. Ed in effetti proprio lo strumento di comunicazione per eccellenza ha aiutato a creare un rapporto diverso col pubblico, anche andando a rompere i luoghi comuni che sono legati in modo quasi indissolubile alla professione musicale. O no?

Crediamo che sia opportuno vivere nel nostro tempo, tanto nelle scelte musicali e di repertorio come dicevamo prima, quanto tramite questi mezzi innovativi. Certo, se sei bravo e funzioni sul palco il resto è secondario, prima o poi si arriva. Ma avvicinarsi al pubblico, e soprattutto avvicinare il pubblico, specie dei nostri coetanei che spesso mancano nelle sale da concerto. Ma è solo una parte di un grande lavoro che c’è prima, dopo dei concerti, facendo matinée, incontri didattici, lezioni concerto, e soprattutto attraverso la creazione di una rete importante di cui i social sono solo una piccola parte.

Anche se la musica contemporanea ha indubbiamente il suo fascino, si torna sempre a casa dal cigno di Salisburgo, uno dei padri nobili del quartetto. Nel programma dei due concerti sono affiancati i quartetti di due periodi “estremi” della vita di Mozart, i primi e gli ultimi. Come si affronta un repertorio di uno stesso compositore frutto però di due periodi così distanti nel tempo?

L’idea di dedicare un progetto a Mozart è venuta al vecchio direttore artistico della Filarmonica, Matteo D’Amico. Sandro Cappelletto poi ha deciso di prendere quartetti che fossero della prima e dell’ultima fase, creando un programma che mostra tutte le sfaccettature della vena creativa di Mozart. C’è anche un parallelismo importante con le vicende personali della vita di Mozart.

E dal punto di vista esecutivo? Come cambia l’approccio tra i vari brani?

I quartetti giovanili, essendo musica meno densa e ancora poco strutturata, scritta da un ragazzo, devono essere resi interessanti dando più risalto possibile alla semplicità che li permea. Dall’altro lato però non bisogna né cadere nella tentazione di legare la musica di Mozart alla tradizione precedente e soprattutto dobbiamo far capire a chi ci ascolta che quella musica è grande musica, anche se scritta da un ragazzino di quattordici anni. Poi certo, il tipo di scrittura dei quartetti giovanili pone ulteriori difficoltà legate alla particolare acustica del Teatro Argentina: poche note, ma ognuna densa di significato. Il lavoro che abbiamo fatto sui giovanili è stato quello di cercare il senso alto di ciascuna nota e renderlo il più possibile intellegibile anche in una sala così grande.

C’è anche un aspetto biografico che è interessante. I primissimi quartetti sono tutti nati in Italia, il 155 è stato composto a Bolzano, ad esempio. E questa contestualizzazione aiuta prima di tutto noi esecutori a farci un’idea di quello che poteva avere in mente lo stesso Mozart nei vari momenti in cui ha composto questi brani.

Questi concerti, però, avranno una peculiarità: saranno integrati dalla voce narrante di Sandro Cappelletto. Come ci si rapporta, da musicisti, con interventi non musicali nella propria esecuzione?

Noi abbiamo già avuto la fortuna di lavorare con Sandro Cappelletto, e ci troviamo anche piuttosto spesso a collaborare con Giovanni Bietti, entrambi grandi conoscitori della musica, ma soprattutto persone che sono in grado di darci una chiave interpretativa della musica diversa rispetto a quella pratico interpretativa con cui ci interfacciamo solitamente. Ci aiutano a leggere più intensamente tra le righe.

Essendo Sandro e Giovanni soprattutto grandi studiosi della musica liberi dall’obbligo che abbiamo noi, purtroppo e per fortuna, di passare ore e ore ogni giorno sullo strumento, ci offrono degli spunti sempre nuovi. Ma il fatto che non passino le ore sugli strumenti non è un limite, anzi. E soprattutto sono dei grandi conoscitori delle caratteristiche degli strumenti: non ci chiedono mai, quando dobbiamo fare degli esempi nel nostro dialogo continuo, passaggi troppo scomodi o di difficile resa a freddo.

È interessante proprio questo dialogo, perché per noi ascoltare una lettura, un racconto che spieghi a parole quello che abbiamo espresso in musica ci aiuta anche a rinnovare le nostre interpretazioni: far sentire maggiormente una voce, o un contrasto o un contrappunto tra le parti. Ci valorizziamo a vicenda e soprattutto offriamo al pubblico scoperte sempre nuove, angolature diverse da cui guardare lo stesso brano con una meraviglia sempre nuova.

Una volta terminata l’esperienza Mozart-Cappeleltto, quali sono i sogni nel cassetto?

Cristina sogna in grande: Ci piacerebbe arrivare magari in un futuro prossimo ad avere un nostro festival di musica da camera, collaborare con grandi musicisti.

Matteo invece lavora in prospettiva: magari riuscire ad insegnare, insegnare non solo la musica che facciamo ma anche quello spirito di gruppo con cui abbiamo creato il nostro rapporto.

Beh, anzitutto il Quartetto deve crescere ancora di più, dobbiamo ritenerci soddisfatti di quello che facciamo e raggiungere ideali sempre più lontani – precisa Fabrizio – ed arrivare anche a più persone possibili a tutti i livelli di età, a tutti i livelli di competenza musicale.

Ma forse è Alessandra a sintetizzare di più il sentimento comune: Un obiettivo che mi piacerebbe riuscire a raggiungere è lasciare il segno. Che il Quartetto Guadagnini possa diventare un nome, lasciare un segno, ed essere ricordato in futuro.

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