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Luisa Prayer

di Filippo Simonelli - 11 Novembre 2019

musica in piena luce

Il nome di Luisa Prayer è inscindibilmente legato alla musica da camera, ed in particolare alla riscoperta di repertori ricercati e anche un po’ di nicchia come quello delle donne compositrici, Clara Schumann in testa. Romana di nascita e di formazione, la Prayer ha stretto questo legame ideale con la grande pianista romantica fin dai suoi primi esordi, quando ancora studentessa decise di formare assieme a due compagne dei corsi dell’Accademia di Santa Cecilia il Trio Clara Schumann, del quale è stata la pianista per circa dieci anni. Il duplice filo conduttore della musica da camera e della voce femminile in musica l’ha accompagnata nel corso di gran parte della sua maturazione artistica, ed è alla base del suo ultimo progetto musicale-drammaturgico, In Piena Luce, con cui inaugurerà il 56° Festival di Nuova Consonanza. Di questo, delle sue scelte e della sua carriera abbiamo parlato nella nostra intervista. 

Tra gli insegnanti con cui si è perfezionata, quale ritiene che sia stato quello che ha influenzato di più il suo modo di approcciarsi alla musica?

Io sono nata e cresciuta a Roma, anche musicalmente: l’imprinting che mi hanno lasciato Sergio e Annamaria Cafaro negli anni del Conservatorio è stato fondamentale. Sergio Cafaro era anche compositore, e mi ha insegnato ad avere un approccio analitico nei confronti della partitura. Terminati i miei studi a Roma, non esistendo ancora il programma Erasmus, mi sono organizzata in maniera indipendente per frequentare corsi di perfezionamento in ambienti di respiro internazionale. Passavo le estati all’Accademia Chigiana di Siena, dove ho lavorato per tre anni con il violinista Riccardo Brengola, grazie al quale ho sviluppato un grande amore per la musica da camera, che ha determinato la mia scelta “di campo”: ricordo con particolare affetto le sue lezioni su Brahms, del quale mi fece approfondire tutto il repertorio da camera col pianoforte. Contemporaneamente studiavo al Mozarteum di Salisburgo dove seguivo le lezioni del pianista Gilbert Schuchter, un maestro che aveva esordito con Furtwängler, esponente di una “vecchia scuola” profondamente radicata nella cultura viennese e mitteleuropea. Qui ho fatto anche molte altre esperienze, e mi sono per la prima volta avvicinata alla Liederistica, con i corsi di Norman Shetler. Più avanti ho avuto la fortuna di conoscere e studiare con Badura Skoda, Gerhard Oppitz, Bruno Canino; la possibilità poi di essere frequentemente partner concertistica di musicisti come il violinista Rainer Honeck, uno dei Konzertmeister dei Wiener Philarmoniker, mi ha aiutato ad approfondire i repertori del classicismo viennese,  ma anche, esperienza per me significativa, quei repertori vicini alla matrice popolare, che ben rappresentano il peculiare spirito e gusto viennese, come la musica di Kreisler ad esempio, che da noi è considerato un po’ un musicista minore, il cui interesse sembrerebbe risiedere solo negli aspetti più esteriori del virtuosismo strumentale.

Da questo ipotetico punto di partenza sono nati numerosi progetti esplorativi, che andassero a scandagliare un repertorio inusuale e ricercato; penso per esempio al repertorio vocale e cameristico del romanticismo italiano.

La mia prima esperienza molto significativa per quel che riguarda il repertorio vocale italiano fu con Denia Mazzola-Gavazzeni. Con lei ho eseguito per la prima volta la musica di Martucci, e con lei ho scoperto tutto un mondo, sia dal punto di vista del repertorio che dal punto di vista espressivo: ho capito davvero cosa vuol dire per un cantante il respiro dal punto di vista interpretativo, e come il pianoforte che accompagna la voce possa e debba calarsi in quello stesso mondo sonoro condividendone gli approcci interpretativi. E in seguito ho capito come fosse importante trasferire quelle modalità anche nella musica strumentale. Un’altra grande cantante con cui ho avuto modo di approfondire il repertorio italiano, oltre a quello in francese e in tedesco, è Monica Bacelli, con cui tra l’altro adesso presentiamo il progetto In Piena Luce per Nuova Consonanza.

Tra i grandi amori, dicevamo, c’è quello per Clara Wieck Schumann. Come affrontare il lavoro di una musicista che finora è passata alla storia principalmente come moglie di un gigante come Robert?

Come Lei ha ricordato, ho iniziato la mia carriera nella musica da camera come pianista del trio Clara Schumann. Eravamo giovanissime, Alexandra Stefanato, Daniela Petracchi ed io, ma  molto orgogliose di essere un trio tutto al femminile, e quindi, oltre al Trio op. 17 di Clara, ci sembrò naturale dedicarci alla scoperta di altri brani composti da donne, come il Trio in re min. di Fanny Mendelssohn Hensel, per esempio, un brano magnifico. Da questi primi incontri è nato il mio interesse per il loro repertorio solistico e liederistico, autentici scrigni di perle. Da qui, è stato naturale sviluppare una ricerca sui repertori delle donne compositrici, un lavoro che ho ampliato quando ho iniziato a lavorare nel campo della divulgazione. Con l’avvicinarsi del 2019, anno in cui ricorrono i 200 anni della nascita di Clara Schumann, mi sono chiesta in che modo potessi suscitare un nuovo interesse per questa interessantissima figura, che presenta alcuni aspetti enigmatici, nei suoi rapporti con le figure maschili che dominarono e condizionarono la sua vita, il padre, il marito Robert Schumann, alla cui fama postuma lei ha poi grandemente contribuito, e Brahms. È un caso molto significativo, per certi versi esemplificativo di quello che può essere la vita di una donna musicista. E in generale ho provato con varie proposte concertistiche e divulgative a raccontare l’attività di queste donne-artiste che, nell’affrontare un mondo prevalentemente maschile, hanno anche compiuto un gesto sociale molto rilevante, nel senso che ha determinato dei cambiamenti.

Questa considerazione mi ha portato spesso a mettere in relazione il segno che queste donne hanno lasciato nella storia della musica con quello che lasciano le grandi figure femminili di oggi nella contemporaneità.

E questo ci porta a parlare del Suo ultimo progetto: già negli ultimi anni ha iniziato ad affrontare, con una serie di drammaturgie teatrali e musicali, temi di impegno sociale; a questo filone appartiene In Piena Luce, il concerto/ racconto con cui Nuova Consonanza aprirà la 56° edizione del proprio festival, un duplice percorso tra le grandi compositrici della storia e contemporanee, e le voci di grandi giornaliste. Da cosa nasce questa scelta?

Oltre a concepire lo spettacolo in sé, incentrato sulla relazione tra i due ambiti, quello artistico e quello giornalistico, ho curato nel dettaglio la parte musicale, fin dall’inizio concepita in funzione della parte narrativa. Avevo la necessità di trovare poi una partner che condividesse la motivazione e avesse le competenze per parlare in maniera non superficiale della vita e delle esperienze di queste giornaliste. L’incontro con la giornalista Laura Silvia Battaglia, giovane ma con una solida esperienza di inviata in Medio Oriente alle spalle, ha chiuso il cerchio. E’ stata  poi una felice sorpresa scoprire che Laura Silvia, prima di intraprendere la via del giornalismo e soprattutto la carriera dell’inviata in territori di crisi, si era diplomata in pianoforte a Catania, la sua città.

Il concerto sarà affiancato, oltre che dalla parte di lettura, da una elaborazione scenica a cura di Silvia Alù. Che valore aggiunto porta questo tipo di sinergia per un esecutore? 

In scena saremo in tre: io, il mezzosoprano Monica Bacelli, una grande interprete, una diva del palcoscenico nel senso più nobile del termine, ed una giovanissima interprete, la cui partecipazione consentisse di proiettare in avanti nel tempo lo sviluppo di questo tipo di ricerca: Misia Sophia Jannoni Sebastianini ha 22 anni, è una stupenda violinista e la sento davvero vibrare molto quando lavoriamo insieme, anche e soprattutto quando ci confrontiamo sul potenziale espressivo di questi repertori calati nel contesto particolare che abbiamo creato. Silvia Alù, la regista, è anche lei giovanissima, ma con una attività già significativa nel teatro musicale e musicista anche lei di formazione: abbiamo formato una squadra molto coesa, in cui è la musica, un linguaggio che fa parte della formazione di tutte, a fare da trait d’union.

Ed il repertorio sicuramente aiuta a rendere ancora più coeso il tutto.

Il repertorio è molto trasversale: abbiamo associato a dei repertori più storici come quello di Clara Schumann e Fanny Mendelssohn, ma anche delle sorelle Lili e Nadia Boulanger, due monumenti della musica contemporanea come Sofia Gubaidulina e Kaija Saariaho. Musiciste visionarie.

Il pezzo della Saariaho, “Iltarukous” (Preghiera della sera), è basato su una poesia di Eino Leino, grande poeta tardo romantico finlandese, che tra l’altro visse per un periodo anche a Roma, dedicandosi alla traduzione della Divina Commedia nella sua lingua. E’ un brano di intensa spiritualità, in cui il piano della quotidiana fatica del vivere si proietta in una dimensione in cui si rarefanno i confini tra i piani del sonno, del sogno della visione e del pensiero filosofico. Della Gubadulina ho scelto due pezzi che nel titolo richiamano forme storiche: Invention e Toccata-Troncata, due pezzi deflagranti direi, perfetti per questo contesto e che danno grande forza alla narrazione. La Toccata-troncata è impressionante nell’alternanza di pieni e vuoti sonori, di passaggi fiammeggianti quasi sospesi sul precipizio di pallide rifrazioni; Invention è un pezzo che non concede respiri, nel martellare inesorabile del soggetto e delle sue elaborazioni, in cui la materia sonora, nella parte finale, precipita dalla tessitura più acuta a quella più grave del pianoforte, con effetti di grande drammaticità. Le sorelle Boulanger meritano anche una menzione speciale: Lili purtroppo morì molto giovane, lasciando comunque un repertorio di grande finezza, mentre Nadia fu una celebre didatta e direttrice d’orchestra, per oltre 70 anni un punto di riferimento della scena parigina. E da ultimo eseguiremo in prima assoluta “Maedchen – Pocket Kammeroper”, un nuovo pezzo di Rossella Spinosa, una commissione di Nuova Consonanza espressamente pensata per questo spettacolo, in cui l’autrice che ha una grande esperienza nel campo della musica applicata alle immagini, avendo al suo attivo un grandissimo numero di colonne sonore, si rapporta alle  immagini dedicate dalla foto-artista Paola Gennari Santori alla memoria di Ilaria Alpi, di cui fu compagna di scuola.

Quale messaggio vuole lasciare In Piena Luce?

Dalla sinergia che si è venuta a creare tra di noi sono nate moltissime idee. Quella più interessante, credo sia stata quella di allargare lo sguardo oltre i nostri confini, e di raccontare non solo le storie di giornaliste occidentali, ma anche quelle originarie di quegli stessi paesi dove si sono creati i fronti di crisi: grazie all’esperienza di Laura Silvia ascolteremo voci curde, somale, afghane, siriane. È interessante per me anche capire le storie di quei paesi, e e comprendere quale totale abnegazione richieda il fenomenale impegno di queste donne. Non è incidentale che tutte le giornaliste di cui parliamo siano cadute nell’esercizio della loro professione, e siano state in alcuni casi bersaglio di una vera e propria persecuzione in quanto donne.

L’idea che vorremo trasmettere con il nostro spettacolo è che il lavoro e la vita di queste donne, sia le musiciste di cui portiamo in scena la musica che le giornaliste di cui raccontiamo la storia, sia stato in sé un gesto fondamentale per la società nel suo complesso, quando non addirittura un vero e proprio, altissimo, atto politico.

Filippo Simonelli

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