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Le ragioni per la protesta dei musicisti

di Filippo Simonelli - 15 Febbraio 2016

Non capita spesso di vedere un musicista arrabbiato. I luoghi comuni che avvolgono chi fa di questo nobile mestiere la propria missione dipingono solitamente il musicista come disperso tra le nubi, sempre sovrappensiero, magari intento a ripassare un solfeggio, a mimare una direzione d’orchestra o una progressione al pianoforte.

Per una volta però è bene lasciare da parte i luoghi comuni, perché i musicisti sono scesi dal loro empireo per venire a reclamare il loro spazio vitale e l’attenzione che meritano. Questo 13 febbraio gli studenti del CNSI (Conferenza nazionale studenti Istituti di formazione superiore) hanno deciso di farsi sentire con una giornata di protesta-proposta. Non certo una delle solite proteste fatta di cortei e disordine, ma una mobilitazione elegante, scandita dalla musica di Mozart al posto dei soliti cori e da proposte chiare e puntuali invece di slogan favolistici. Abbiamo parlato con Tommaso Donatucci, presidente del CNSI, per farci spiegare più nel dettaglio gli obiettivi della mobilitazione.

-Innanzitutto viene da chiedersi perché protestano i conservatori e perché lo fanno ora, in un momento in cui non si parla di riforme o simili.

I Conservatori si stanno muovendo ora proprio per l’assenza di riforme! Nello specifico, la riforma inerente tutto il sistema artistico italiano è ferma da 16 anni. Questioni come la governance, il reclutamento dei docenti, i finanziamenti, la struttura stessa dei percorsi formativi sono tutt’ora irrisolte. Nonostante un ordinamento vecchio e farraginoso, siamo riusciti ad andare avanti: ma ora non ce la facciamo più! Abbiamo bisogno della nostra riforma, abbiamo bisogno di attenzione e responsabilità prima di chiudere!

– In cosa consiste la vostra protesta?

Noi facciamo una cosa: suonare. E senza l’attenzione dei cittadini e dei governanti rischiamo di smettere. Abbiamo deciso quindi di portare la musica da loro con concerti, maratone musicali, flash mob. Tutto ciò che l’Italia rischia di perdere perseverando nel rifiuto di riconoscere la sua eccellenza e di averne cura. Questo abbiamo, questo mostriamo, non è un lusso, è un diritto.

– Quali sono gli obiettivi della mobilitazione?

Con questa mobilitazione noi vogliamo portare i nostri problemi alla gente. Noi vogliamo che le persone si rendano conto che se ognuno pensa al proprio orticello, perderà i campi attorno. Ecco il nostro obiettivo: richiamare le persone a se stesse. Farle rendere conto che è l’ “ignoranza” il male di questo Paese. Dobbiamo vedere e proteggere ciò che abbiamo. E noi stiamo chiedendo aiuto.

– Ci sono dei punti dei vecchi ordinamenti che andrebbero ripristinati, oppure si tratta di un modello ex-novo?

Il vecchio ordinamento è ormai passato, abbiamo iniziato una strada che va percorsa…ma come già detto manca proprio la strada!

– Qual è il vostro giudizio in merito alle altre iniziative che sono state intraprese per la diffusione della cultura musicale in Italia, come ad esempio il progetto Stradivari o il progetto Italia Jazz?

Tutto è buono, la musica è di casa in Italia. Il problema è che nel senso comune non viene trattata con la dovuta responsabilità, sembra essere uno sfizio senza prezzo. Dietro ogni musicista c’è una storia di determinazione e sacrificio, di studio e investimenti che va rispettata.

Potremmo aprire una parentesi degna di un trattato su questo punto, il nodo della questione è che attualmente per gli italiani, l’arte ha perso significato. Cosa significa l’arte? A cosa serve l’arte? Cosa comunica? Cosa chiede? Queste sono le domande a cui siamo chiamati a rispondere. Ma, si intuisce, il problema non è semplice.

– Ci sono modelli esteri da cui trarre ispirazione?

A lungo si è dibattuto su questo punto, si potrebbe prendere ispirazione dal modello tedesco, francese, americano… la verità è che il pregresso storico del nostro sistema formativo ci porta a fare i conti con un insieme di incongruenze e problematiche. Piuttosto che un modello a cui fare riferimento, qui in Italia abbiamo bisogno di una sola cosa: coraggio.

– C’è spazio per una diffusione autonoma della musica in Italia anche senza l’intromissione dei governi?

Il governo non è la grande mamma che si occupa di noi. Di sicuro il suo aiuto è fondamentale, ma non è indispensabile. Il momento storico in cui ci troviamo chiede prima di tutto che siano le persone a rimboccarsi le maniche, a mettere da parte la paura e le lamentele mettendo le proprie capacità e le proprie risorse in prima linea.

È lo sforzo più grande, perché richiede, appunto, coraggio. Ma siamo stanchi di sentirci dire che tutto andrà male e che non c’è futuro. Perché se vogliamo avere un futuro dobbiamo esserlo noi.

Occorre quindi che il lavoro statale sia aiutato e sostenuto dallo sforzo di ognuno di noi, in ogni campo e ad ogni livello. È nostra responsabilità avere cura di noi e di tutto quello che ci circonda.

Se vogliamo un cambiamento, diveniamo il cambiamento che vorremmo.

Intervista a cura di Filippo Simonelli


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