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Il sogno minimalista

di Filippo Simonelli - 5 Novembre 2019

di Katia e Marielle Labeque

 

Il fenomeno Labeque rappresenta un unicum della storia della musica. Il concetto di Duo pianistico era ben radicato nel canone musicale ben prima della loro affermazione, ma mancava di un corrispettivo moderno e soprattutto si trattava più di una forma di collaborazione occasionale tra grandi musicisti che non una formazione stabile. La novità portata dalle due sorelle, o meglio una delle loro principali novità è stata anche questa. Giovanissime, appena terminata la formazione più canonica in Conservatorio si sono iniziate a misurare subito con i giganti del loro e del nostro tempo, affermandosi in breve tempo come una formazione collaudata ed affiatata, forse anche grazie al legame di sangue che le unisce.

Katia e Marielle non sono gemelle, a dispetto della impressionante somiglianza fisica, ma si portano due anni di differenza: e forse è anche questa leggera asimmetria anagrafica che rende le loro esecuzioni più rilevanti e le loro sottili differenze più significative.

La nostra mamma era una pianista, quindi per noi è stato normale crescere in una casa in cui si faceva musica. C’erano studenti, amici, molti venivano regolarmente a suonare a casa nostra. Poi mamma era italiana, quindi molto appassionata d’opera e ci ha trasmesso la passione per la musica anche attraverso questo mezzo. È nato tutto così, in maniera molto spontanea.

[Marielle] Lei è stata anche la nostra prima grande insegnante: del resto era amica di Marguerite Long che a sua volta aveva conosciuto Ravel, Debussy ed aveva eseguito le loro opere. Poi aveva anche una grande energia: essendo noi nate in una città piccolina, non un grande centro culturale, quasi tutte le iniziative passavano per il suo lavoro, e lei si occupava veramente di tutto. Era molto difficile riuscire a gestire tutto questo facendone anche un lavoro.

[Katia] Abbiamo iniziato a suonare insieme per caso, non abbiamo mai detto “suoniamo insieme”, semplicemente ci siamo trovate, una volta uscite dal conservatorio, a voler approfondire il repertorio per due pianoforti che fino ad allora non conoscevamo affatto. Avevamo avuto una sola piccola esperienza con nostra madre, quando io (Katia) avevo 8 anni e lei (Marielle) ne aveva 6, ma era stato un disastro: ci litigavamo la tastiera, “sei tu che sbagli!” “no sei tu!”, tanti capricci, com’è normale a quell’età. Per fortuna il secondo tentativo è andato meglio.

Anche la scelta del repertorio, che pure voi avete contribuito ad ampliare notevolmente con la vostra attività, non è una scelta semplice.

[Marielle] Può capitare che suoniamo un pezzo che a me non piace o a lei si, o viceversa, cambiando poi idea, ma anche al contrario. Tutto sta nel lavoro che facciamo dietro a ciascun pezzo. Con alcuni brani riusciamo a trovare subito la chiave di volta, e paradossalmente anche se sono pezzi bellissimi perdono di interesse molto presto; ci sono invece dei brani che ti richiedono un grande lavoro, e che ogni volta vanno ripresi e ristudiati in profondità, quelli sono i lavori che ci piacciono di più. E poi ci sono cose che non finiscono mai di stupirci, come la Sagra della Primavera o la musica di Debussy…

Musica Contemporanea

[Labeque] Ogni compositore contemporaneo è legato ad un mondo dietro di sé, ed ogni musicsta ci ha portato ad altre amicizie e altri legami: Philip Glass ci ha portato a David Lang, che ci ha portato a Nico Muhly. Bryce Dessner oggi è diventato un amico davvero, vive a Parigi e lavora spesso con noi; abbiamo creato un po’ una piccola famiglia speciale. Quando c’era Luciano Berio aveva un mondo che gli ruotava attorno, anche di compositori molto diversi gli uni dagli altri.

Una delle iniziative più interessanti e senza dubbio più meritevoli che il Duo ha messo in campo negli ultimi anni vi vede protagoniste fuori dal palcoscenico: la Fondazione Katia e Marielle Labeque.

[Labeque] È un’eredità intellettuale e ci seguirà molto in futuro, anche quando noi non ci saremo più. Certo, non abbiamo aiuti finanziari, non abbiamo sponsor, siamo solo noi a sostenere le attività con i nostri concerti e il nostro lavoro, ma in fondo è meglio anche così perché siamo più libere di scegliere cosa portare avanti e cosa no, e anzi tutti gli altri artisti amici della fondazione ci portano altri progetti interessanti. […] Non si sa mai che succederà quando ce ne andremo tutte e due, o come andremo via. Diciamo che tutto quello che abbiamo creato finora noi sarà portato avanti da chi ci seguirà alla direzione della fondazione, o anche solo a lavorare al nostro archivio. Abbiamo un tale casino tra le nostre partiture che ci vorrà qualcuno che passi molto tempo a catalogare e riorganizzare tutto, se lo facessimo noi non potremmo stare tutto il tempo necessario dietro al pianoforte a studiare, che in fondo è la cosa più importante.

Il lavoro delle sorelle Labeque, soprattutto con l’affermarsi delle nuove tendenze artistiche a cui si sono legate di recente, afferra e trova spunti ed interessi anche in altri ambiti artistici…

[Labeque] Alla fine non ci sono mai progetti che non siano molto legati alla musica; forse è un po’ complicato invece stabilire il confine tra la musica classica e quella non classica, che poi è quel magico punto d’incontro della musica contemporanea. Ci sono tantissime correnti che arricchiscono ognuna il linguaggio musicale, e spesso sono proprio musicisti “non classici” ad arricchire questo linguaggio, proprio come Bryce Dessner per fare un nome, o come la Minimalist Dream House.

Filippo Simonelli

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