2020 Anno Zero: Beatrice Rana, la nuova Orchestra Filarmonica di Benevento
di Filippo Simonelli - 16 Marzo 2021
Il 2020 ha portato innumerevoli cambiamenti nelle nostre vite, nelle nostre abitudini e nel mondo della musica. Non tutti sono stati necessariamente negativi, nonostante le difficoltà: molte istituzioni musicali hanno cambiato volto, si sono adattate per rispondere alla situazione e alcune di queste hanno rinnovato i propri vertici, riconfigurando il panorama artistico manageriale italiano. Per questo abbiamo scelto di incontrare i nuovi volti delle Sovrintendenze e delle Direzioni Artistiche e Generali di teatri, orchestre, istituzioni concertistiche, festival, e accademie italiane, per capire dove andrà la nostra musica nei prossimi giorni, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, quali sono i progetti più a lungo termine e cosa possiamo imparare da questo periodo per risolvere problemi con cui conviviamo spesso da molto più tempo. La penultima tappa del questo nostro percorso la percorriamo insieme a Beatrice Rana, pianista di fama internazionale, che dallo scorso autunno ha assunto il ruolo di guida dell’Orchestra Filarmonica di Benevento.
Benevento per te è la prima vera esperienza di direzione artistica continuativa: Classiche Forme ha delle sue scadenze e una sua organizzazione, ma è tutto molto concentrato. Benevento, invece, è tutta un’altra cosa. Come ti sei ricalibrata per lavorare su questo tipo di iniziative?
Si tratta senza dubbio di una bella sfida. Per Classiche Forme credo sia quasi riduttivo usare il termine direzione artistica, perché è stata una vera e propria sfida di creatività, nata da zero con la creazione di un format ex novo che ho inventato io. Subentrare in una realtà invece che, per quanto giovane, ha già una sua storia e una sua identità, è più delicato: bisogna far combaciare due personalità e costruire qualcosa insieme di comune accordo. Mi galvanizza molto l’idea di poter avere un arco temporale di progettualità abbastanza ampio e sapere di avere a disposizione molte forze e molte risorse è emozionante. Certo, ho una grande responsabilità perché entro in una realtà già esistente e vorrei che il mio apporto non snaturasse il senso dell’orchestra, ma lo arricchisse dandogli una direzione chiara. Vorrei avere una presenza trasparente ma comunque sento di avere saldo il timone di questa situazione anche grazie all’organizzazione che ho trovato già al mio arrivo. L’Orchestra è gestita da un direttivo di sei ragazzi, che fino a questo momento si sono veramente occupati di tutto facendo un gran lavoro di squadra.
Il direttivo è sicuramente una peculiarità interessante dell’orchestra, ma la direzione artistica rimane comunque in capo a te: come pensi di riuscire a conciliare la tua carriera pianistica con gli impegni che questa prevede?
È difficile rispondere perché io sto conoscendo questa realtà in un momento – chiaramente – molto particolare. La proposta di assumere la direzione artistica dell’orchestra mi è arrivata a luglio; ho valutato se potessi farlo veramente, perché il mio cuore mi ha detto subito di sì dalla prima volta che mi son trovata a suonare con loro, ma la testa mi ha chiaramente messo di fronte alle difficoltà oggettive. Con la carriera che già ho, aggiungere un impegno del genere poteva essere un peso non solo per me quanto per loro, perché chiaramente un’orchestra del genere merita il massimo della mia attenzione e del mio tempo. Ho comunque pensato che con una buona organizzazione sarei riuscita a farcela, anche perché la stagione dell’OFB non è su base settimanale ma si tratta di fatto di un concerto al mese con una fase estiva più intensa in cui ci sono vari appuntamenti sia della stagione sinfonica che di proposte fuori abbonamento. È difficile per ora dare dei giudizi veri e propri perché quando sono stata nominata abbiamo messo in piedi una stagione in fretta e furia da annunciare già a novembre ma a fine ottobre siamo stati costretti a chiudere, quindi ovviamente è tutto posticipato per ora. Adesso si pone il problema dello streaming: abbiamo avuto il nostro battesimo con questa modalità a Ravello in collaborazione con il loro festival; è stata una bella maniera per ritrovarci tutti insieme, il mio primo appuntamento da direttrice artistica vera e propria, ma per una realtà come la nostra, giovane e con molto lavoro di fronte, lo streaming difficilmente è una soluzione, o tantomeno un modo per definire la nostra identità. Conviene aspettare che le maglie dei decreti si allentino – speriamo – da qui all’estate per fare un’ampia stagione estiva che si protragga fino alle porte dell’inverno, situazione permettendo.
Parliamo dell’identità: se, come hai detto più volte, si tratta di un’orchestra molto giovane, come si può costruire l’immagine di quest’orchestra in maniera duratura per andare anche oltre la fase in cui viene vissuta come una realtà giovanile?
Identità è una parola fondamentale per la nostra orchestra. Al momento l’identità che l’OFB porta con sé è chiaramente legata alla gioventù, alla voglia di fare e di suonare, alle sue energie ed alle ambizioni che l’hanno portata in pochi anni di vita ad avere già grandi nomi e a fare tanto. Ora però c’è da mettere le radici: l’orchestra di Benevento è per l’appunto l’orchestra della città di Benevento, ma al momento non ha una sede in città. C’è però un teatro che sta per essere “spacchettato” tra pochi mesi dopo una lunga serie di lavori, e speriamo possa accoglierci. È molto importante dare l’identità dell’orchestra legandola al suo territorio locale per arricchire tutta la realtà della regione campana che ha già un grande patrimonio nella presenza dell’Orchestra del San Carlo: geograficamente parlando è fondamentale avere un’identità che poi possa diventare un marchio di fabbrica anche in vista della ripresa di tournée nazionali, a cui stiamo già lavorando.
C’è poi anche la questione del repertorio: la scelta dei brani da programmare per un’orchestra che ha appuntamenti a cadenza mensile è molto più difficile di quanto lo sia per chi suona una volta a settimana e può permettersi di sperimentare e ampliare di più. I numeri dell’orchestra sono quelli di un’orchestra sinfonica sì, ma non con un organico immenso quindi dobbiamo preoccuparci più di creare un’unità orchestrale, perché la gioia che abbiamo nell’incontrarci si traduce spesso anche in una necessità di crescere e lavorare insieme. Il senso del mio lavoro per i prossimi quattro anni sarà quindi anche quello di dare continuità musicale e di repertorio, aprendo anche a generi che per ora non sono mai stati toccati, come la musica contemporanea. Ci siamo già impegnati a fare delle commissioni annuali a dei compositori italiani, a partire da Silvia Colasanti, in modo che ci sia un ventaglio più ampio di possibilità.
Il concerto mozartiano di gennaio a Ravello, con Fabio Biondi come direttore, è stato un altro esempio del nostro modo di lavorare da qui in avanti: per l’orchestra lavorare con uno specialista del repertorio e della prassi del classicismo è stato un lavoro incredibilmente intenso. L’Orchestra mi ha già mostrato in questa situazione una delle caratteristiche migliori, secondo me, ovvero una malleabilità e una grande apertura al cambiamento che può diventare un tratto distintivo e uno stimolo a migliorare sempre. Certo, dobbiamo ancora provare, aggiustare e modificare qualcosa di nuovo e diverso, ma sono molto fiduciosa.
Quali sono le vostre idee per costruire un legame con la città e creare soprattutto un pubblico nuovo per l’Orchestra?
Stiamo lavorando ad un nuovo format, i concerti di Casa Rummo, che rappresenta una novità completa sia per l’Orchestra che per la città. È una novità per l’Orchestra perché è il primo inserimento di musica da camera nel calendario, è una novità per la città perché valorizza luoghi della città come piazze, cortili, chiostri grazie all’appoggio di una gloria locale come il Pastificio Rummo, una delle aziende più importanti di tutta la Campania. Saranno le prime parti dell’orchestra a fare questi concerti cameristici, in modo da farsi riconoscere e conoscere sempre più dalla popolazione, insieme ad ospiti diversi di volta in volta. Sono fiduciosa che questa cosa possa diventare un appuntamento sempre più centrale per la vita culturale della città.
Parliamo del discorso Teatro, e non solo come luogo fisico; negli anni scorsi l’OFB aveva provato ad impiantare un seme popolare nella sua stagione, con Traviata e altri progetti “nazionalpopolari” se vogliamo, ma che avevano ricevuto un forte riscontro. Quali sono le prospettive future?
In realtà mi sono data come idea quella di dare un’impronta fortemente sinfonica all’orchestra, senza precludere altre possibilità e incontri con altre realtà. Ma per la regione Campania un grande polo teatrale già c’è, è forte ed è il San Carlo, come ho già detto; per me era necessario operare un distinguo e un qualcosa che anche qui contribuisse ad arricchire l’identità della nostra orchestra. Poi ci saranno eventi alternativi, particolari e fuori abbonamento che vadano ad attingere ad altri bacini di utenza e persino ad altre discipline artistiche, appoggiandoci ad esempio allo splendido festival del Cinema che c’è a Benevento. Ma per noi resta prioritario fare chiarezza, sia per l’orchestra stessa sia per chi ci verrà ad ascoltare. L’opera può essere un’esperienza arricchente, una bella sfida e una lezione d’ascolto anche per il pubblico, ma al momento è difficile fare delle previsioni a lungo termine.
Volendo dare un’idea così forte dell’identità dell’orchestra, viene da chiedersi se e come avete intenzione di collaborare con altre realtà. Avete già delle idee di partnership o collaborazioni, all’Italia o persino all’estero?
Assolutamente, è necessario pensare da subito a delle collaborazioni per due grandi motivi: aiutano il nome della OFB a circolare al di fuori della Campania e motivano fortemente l’orchestra a dare il meglio di sé. Prima di partire con questi progetti però bisogna avere le spalle larghe e un’identità forte, creare un ecosistema capace di stare sulle proprie gambe e allora sì, iniziare a pensare a tournée, partnership e scambi culturali. Qualsiasi orchestra, anche i Berliner, si prepara meglio per la tournée che non per il concerto in casa. Ce ne sono in cantiere, ce n’erano anche per questa primavera… (sospira) ma sappiamo com’è andata. È molto frustrante.
Ma avete il lusso di poter lavorare in prospettiva…
Si certo, a me è stato dato un incarico di quattro anni che possono sembrare tanti ma passano in men che non si dica quando una programmazione è fatta sul serio. Il problema è che adesso fare questo tipo di lavoro è molto difficile, perché la programmazione procede su due canali completamente diversi. Uno a lungo termine, che ha le scadenze che vivevamo prima del 2020, e l’altro, quello della quotidianità, che cambia di giorno in giorno e sul quale noi siamo completamente impotenti.
Tornando un attimo al discorso dell’identità dell’orchestra, per l’ultima volta: come pensate di lavorare in merito al coinvolgimento di solisti? Darete la precedenza a giovani emergenti, magari coetanei dell’orchestra, oppure punterete su nomi più “sicuri” a beneficio del pubblico?
Metà e metà. Credo che sia importante avere un po’ di ciascuno, perché limitarsi a scegliere tra uno e l’altro di questi gruppi sia anzitutto una forte autolimitazione e soprattutto faccia un gran disservizio ai giovani: ha senso investire su di essi se sono affiancati a grandi nomi, altrimenti diventa quasi uno sfruttamento. Il mio obiettivo è restituire quello che io, giovane musicista, ho ricevuto, quindi vorrei poter dare l’opportunità a dei giovani, magari non ancora conosciuti, di suonare con un’orchestra, fare esperienza e poi affiancarli a nomi importanti. Ma anche qui: dire musicista importante non vuol dire per forza chiamare in causa personaggi che in Italia sono popolari. Con le mie esperienze all’estero ho avuto occasione di conoscere musicisti che da noi non suonano ma che sono comunque straordinari, quindi ripeto: è mia, è nostra premura valorizzare i giovani e soprattutto i giovani locali. Ascoltare audizioni, ricevere proposte, mi fa sempre piacere. Ci vuole tempo, pazienza e lavoro da aggiungere che però sono ben contenta di fare. Sia nella stagione sinfonica che in quella da camera terremo l’imperativo categorico di valorizzare i giovani e stare a sentire tutte le voci, senza però mai cadere nell’idea di rinchiudersi in una sola categoria a svantaggio del pubblico. È con loro che invece dobbiamo instaurare un grande rapporto di fiducia, convincendoli che qualunque concerto andranno a sentire dall’Orchestra Filarmonica di Benevento troveranno un certo livello di qualità.
A Benevento, per anni, l’unica realtà stabile a livello musicale è stata quella del Conservatorio Nicola Sala in cui insegna peraltro Silvia Colasanti, che hai già citato. Avete pensato a come strutturare un rapporto?
In realtà io sono subentrata in una situazione in cui il rapporto tra Orchestra e Conservatorio era molto difficile, ma per fortuna come è cambiata da noi la leadership è cambiata anche nel Conservatorio. È impensabile che in una realtà così piccola come Benevento le due realtà musicali non siano in contatto reciproco. Per questo voglio creare una collaborazione che vada oltre il classico biglietto ridotto per gli studenti del Conservatorio, ma vorrei mettere in primo piano gli studenti del Conservatorio, facendoli suonare in alcune nostre produzioni per avviarli nel miglior modo possibile alla vita professionale, per approfondire poi il rapporto esplorando nuove possibilità. Per esempio, si possono far incontrare esigenze diverse: l’orchestra, essendo così giovane, ha una gran voglia, di suonare in ogni circostanza, e ci sono spesso classi di direzione d’orchestra che non hanno orchestre da dirigere. Se si trovasse un modo per far combaciare questi due punti di vista, si potrebbero intraprendere collaborazioni ben più ampie. Dobbiamo fare in modo che queste due realtà si incontrino il prima possibile, nell’interesse di tutti.
Un’ultima questione che abbiamo citato più volte ma mai approfondito è quella della musica contemporanea. Quanto pensi che sia audace scommetterci sopra, per una realtà in cui non è ancora stata provata?
Qualsiasi cambiamento desta sempre un po’ di sgomento, è matematico. Ma sono fiduciosa, perché spesso i posti in cui la musica contemporanea ha più successo sono quelli con meno pregiudizi. In questo senso credo che un terreno “vergine” come quello di Benevento possa essere più aperto alla novità di luoghi in cui realtà sinfoniche con esperienze decennali hanno creato un pubblico iperselettivo. Quello che ho imparato in questi anni da pianista è che bisogna assumersi la responsabilità delle proprie scelte, anche quando sono rischiose; ma nel nostro caso si tratta di rischi di qualità, perché sono dei compositori eccezionali. Nel caso della musica contemporanea poi una cosa mi sta particolarmente a cuore: fare sì che al brano nuovo si dia la stessa dignità e importanza del brano di repertorio, dando la stessa importanza al concerto di Mozart e alla nuova commissione di Silvia Colasanti. Non una cosa aliena, ma un qualcosa di godibile e apprezzabile come Mozart. Ma non sono preoccupata, anzi, è forse una delle scommesse che mi esalta di più.