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L’Adagio troppo famoso di Samuel Barber

di Filippo Simonelli - 9 Marzo 2017

Le opere di Samuel BarberJohannes Brahms era solito riferirsi alla sua terza sinfonia come a “la mia Sinfonia troppo famosa”, vista la frequenza con cui nella Germania del suo tempo veniva eseguito e riarrangiato soprattutto il celebre terzo movimento.
Allo stesso modo potremmo parlare di un adagio troppo famoso riferendoci al movimento centrale dell’Op.11 di Samuel Barber, oggi universalmente conosciuto come “Adagio for Strings”, che il compositore concepì come parte del suo primo quartetto d’archi.
Gran parte della sua fama deriva, oltre che dalla bellezza intrinseca della musica, dal larghissimo utilizzo che ne è stato fatto nei contesti più disparati. Fu suonato il giorno dei funerali dei presidenti Roosevelt, Einsenhower ed è stato usato come omaggio per le vittime dell’Undici Settembre nell’ultima serata dei Proms della BBC nel 2001, sostituendo le più consuete fanfare e canti di gioia. Anche al cinema ha trovato largo spazio, diventando la colonna sonora di una delle scene principali del film premio oscar Platoon o di The Elephant Man, oltre che di un buon numero considerevole di opere di Michael Moore. Questa contestualizzazione, assieme al suo carattere indiscutibilmente elegiaco e meditativo, ha di fatto reso questo adagio la trasposizione musicale del dolore.

Ma contribuendo ad accrescerne la fama a dismisura, quest’insieme di elementi extramusicali ha contribuito a rimuovere dal contesto originario per cui il brano era stato concepito, il Quartetto Op.11 . Proprio per questo è necessario riprendere in considerazione tutta la struttura del Quartetto per capire a fondo l’Adagio, e al tempo stesso per esaltare quegli elementi di tristezza e languore che sono latenti già nella musica “pura” a prescindere dall’insieme di significati posteriori che gli sono stati attribuiti.

Struttura del Quartetto

L’Op. 11 di Barber è un quartetto d’archi composto da tre movimenti, in cui l’adagio occupa il posto centrale.

Se prendessimo i tre movimenti separatamente, faticheremmo a dire che sono parte dello stesso pezzo se non addirittura dello stesso compositore o della stessa epoca. Il primo, un Allegro in forma Sonata, è un prodotto del suo tempo: armonie stridenti, un tempo forsennato e un andamento del quartetto fortemente percussivo. Non mancano tuttavia delle vestigia apparentemente fuori moda negli anni ’30 del 900. La tonalità, si minore, è indicata con le alterazioni in chiave e le prime modulazioni non sono particolarmente ardite.
La costante dei tre movimenti è una in particolare: la mancanza di risoluzioni delle cadenze in maniera “soddisfacente” per delle orecchie abituate agli stilemi del periodo classico-romantico. Questo susseguirsi di cadenze incomplete è il motivo che gli studiosi identificano come origine dell’idea per cui l’Adagio simboleggia dolore e rassegnazione. Come vedremo passando in rassegna questi momenti, non è una caratteristica esclusiva dell’Adagio, ma viene ripresa in tutti i movimenti del quartetto, che dovremmo considerare come una creazione quasi unitaria.

[per consultare la partitura completa, clicca qui]

Il primo movimento: Allegro Appassionato

Il brano si presenta introdotto da brevi incisi cromatici suonati all’unisono dagli strumenti che culminano in una rapida affermazione della relativa maggiore, Re, che però è bruscamente interrotto da un inciso discendente che ci porta verso il Si Minore (min. 0:00-0:09). Il tema viene presentato subito dopo (0:21) ed evolve rapidamente, culminando nella seconda idea che viene enunciata da una terzina del primo violino e si presenta con un rallentando molto, che assieme alla tonalità maggiore, costituisce un momento di stasi rispetto al generale andamento forsennato del brano (1:24).

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L’allegro prosegue poi con il canonico sviluppo della forma sonata, che porta poi alla riesposizione del tema originario e infine al secondo tema trasposto in Si Maggiore (6:41).

Ma occorre in particolar modo soffermarsi sulla prima alternanza di temi. Il passaggio dal Si Minore al Mi Maggiore viene scandito da Barber con una certa solennità, ed è l’unico momento di tutto il quartetto in cui una tonalità maggiore si afferma con una certa stabilità. Matthew Bailey, dell’Università del Tennessee, ha affermato che questo è l’unico momento di pace in un contesto altrimenti del tutto tragico. Per il ricercatore la composizione di Barber va interpretata alla luce dell’esperienza personale dell’autore. Ciascun tema rappresenta un vero e proprio personaggio in uno sforzo continuo per raggiungere l’anelata risoluzione maggiore.

La tendenza all’instabilità e alla mancanza di risoluzione ritorna nel finale del primo movimento. (6:56-7:34) La tonalità della nuova idea tematica è Si Maggiore, ma la conclusione delle cadenze non riesce mai a raggiungere a pieno l’obiettivo, “mancando il bersaglio” ogni volta. Siamo all’apice di un climax che ci ha portato nei registri più acuti degli strumenti, ed è il violino a portare la voce principale. Il primo tentativo (nella figura qui sotto) vede una progressione piuttosto comune dal quarto al quinto grado che non culmina però nella tonica, quanto piuttosto in un secondo grado, quindi do diesis minore. Il secondo tentativo, alla battuta successiva, risolve invece in un accordo di Do Maggiore che lascia ancora più spiazzato l’ascoltatore.
Soltanto il terzo tentativo riesce nell’intento di dare alla cadenza perfetta la sua naturale conclusione, ma nel registro inferiore degli strumenti, con un emblematico silenzio da parte del violino.

Il secondo movimento: Molto Adagio

Nel secondo movimento questa tendenza all’instabilità ritorna, seppure in una veste molto diversa. Siamo infatti in un contesto armonico diverso e anche il carattere della musica è radicalmente diverso. L’adagio, che sarebbe più corretto definire “molto adagio” ha un carattere raccolto, quasi una preghiera, per l’utilizzo di alcuni passaggi più tipicamente contrappuntistici riporta alla mente gli stilemi dei maestri della polifonia.
La musica si apre in maniera solenne con la prima melodia enunciata dal primo violino nelle prime quattro battute e culmina in un forte ritardo Do-Si bemolle nella quinta, che elude la possibile soluzione al re bemolle, che in questo caso avrebbe svolto la funzione di relativa maggiore. (8:30-8:59)Schermata 2017-03-09 a 09.30.52

La melodia riprende il suo corso lento e regolare (il movimento principale è quello per gradi congiunti) che porta alla cadenza plagale della battuta 8, salvo culminare, nella battuta 11 in uno stridente tritono Do-Sol b costruito su una armonia di La Bemolle maggiore, lasciando insoddisfatta l’aspettativa di risoluzione, accentuata dal fatto che il Do del secondo violino non risolve ancora nel Re Bemolle che già avevamo menzionato prima ma scende cromaticamente in un Do bemolle. (9:50)

La progressione lenta e apparentemente inesorabile del brano alimenta un senso di tensione nell’ascoltatore che cresce con l’incedere lento ma regolare della battute. Di volta in volta è uno strumento diverso a portare avanti il tema: primo violino nella prima battuta, viola nella quattordicesima e infine violoncello nella ventottesima. E questa successione si ripete anche nella costruzione del climax che costituisce il fulcro centrale del movimento, dalle battute 43 a 56, ma al contrario. (12:59-15:00) Si parte quindi dal registro basso del violoncello, accompagnato dal crescendo molto degli altri strumenti. Gli subentra la viola, che riprende il tema partendo dalla sottodominante e dopo due battute cede nuovamente il testimone al violoncello. Questa volta però lo affianca il primo violino, che prende la melodia dalla sottodominante ma del registro superiore fino a culminare nella serie di accordi che portano all’incredibile modulazione al tono distante di fa bemolle maggiore, rinforzata da uno sforzando molto accentuato e tenuta sospesa dal punto coronato.

Dopo il silenzio della pausa immediatamente successiva, tuttavia, l’atmosfera si volge di nuovo verso la rassegnazione. Barber, per segnalarlo, utilizza nella progressione seguente un accordo di Si Minore, apparentemente estraneo all’armonia precedente, ma che segnala un ritorno alla tonalità d’impianto del primo tempo. Se volessimo individuare un ulteriore parallelo tra i primi due momenti basterebbe pensare che Fa Bemolle è l’equivalente enarmonico di Mi Maggiore, la tonalità che era riuscita ad affermarsi come approdo saldo nel primo movimento.
Il movimento si chiude di nuovo con la stessa cadenza plagale (16:41-17:03) che aveva accompagnato lo svolgimento delle melodie nei diversi punti dell’adagio, concludendo una struttura circolare che ha fatto parlare i critici di brano “in forma d’arco”.

Il terzo movimento: Molto Allegro (come prima) – Presto

Il terzo movimento è come un brusco risveglio da un sogno dolce ma non troppo: fin dalle prime battute riemerge lo stesso spirito indiavolato che aveva contraddistinto il primo allegro. Il movimento si presenta nei fatti come una ripresa del materiale tematica del primo movimento ma nella stessa tonalità d’impianto dell’Adagio, si bemolle minore. Lo sviluppo del tema è immediato. Non viene presentato nessun secondo tema per intero, ma viene appena abbozzato tra le battute 11 e 13, ed è, simbolicamente, in Do bemolle Maggiore, tonalità che è l’equivalente enarmonico di quel Si Maggiore che avevamo incontrato nel primo tempo. Questo tema però viene lasciato morire per far posto ad uno sviluppo compresso di questa nevrotica ripresa.
Il finale del terzo tempo e del quartetto è indicato come un Presto (19:07-19:37), ed è probabilmente il momento di maggiore difficoltà per gli strumentisti, presi da un continuo susseguirsi di scale che si interrompono bruscamente con un inciso finale. Nel presto però troviamo l’ultimo fondamentale elemento della nostra analisi. Se in precedenza avevamo visto come venivano sempre mancate le risoluzioni melodiche delle cadenze, ecco che qui finalmente la agognata risoluzione arriva. Dopo la sequenza di scale costruite dai violini, ecco che finalmente il crescendo porta alla risoluzione della scala melodica di Si minore, suonata dal primo violino, che arriva al suo punto d’arrivo. Ma senza alcuna armonia di sostegno, come mostra la battuta 64. (19:21)

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Il brano quindi termina con una ripetizione snervante dello stesso inciso che aveva seguito la prima armonia di re maggiore del primo movimento, con la leggera differenza che questa volta termina cromaticamente su una quinta vuota finale suonata nel registro intermedio dagli strumenti.

Genesi dell’opera e del suo successo

La prima versione dell’Opera 11 di Barber vide la luce nel 1936, quando il compositore, neanche trentenne, stava completando la sua formazione al Curtis Institute of Music. Nonostante la giovane età, Barber aveva già iniziato a farsi strada nel Pantheon, all’epoca ancora piuttosto spoglio, della musica Americana. E l’opera 11, scritta appunto originariamente per il Curtis Quartett, avrebbe contribuito in maniera fondamentale al consolidamento della sua fama.
Il Quartetto venne presentato per la prima volta in una forma un po’ diversa da quella che conosciamo oggi. La struttura era sempre suddivisa in tre movimenti, ma il terzo doveva essere un Rondò dal carattere trionfale ed in tonalità maggiore che lo stesso Barber giudicò stucchevole dopo il solenne andamento dell’adagio, optando poi per scartarlo a favore della ripresa, in forma sonata, del materiale del primo movimento ma con una diversa chiave.

Nonostante l’iniziale insoddisfazione, il giovane Samuel si rese conto di aver effettivamente per le mani un pezzo prodigioso. Le corrispondenze con Gian Carlo Menotti, all’epoca suo compagno, ci danno una testimonianza di quanto credesse nelle potenzialità del pezzo.
Fu proprio questa consapevolezza a spingerlo, verso la fine del 1937, a riorchestrare l’Adagio per Orchestra d’Archi e a spedire la partitura ad Arturo Toscanini. Il direttore italiano, dopo aver ricevuto la partitura, la rispedì indietro a Barber senza alcuna annotazione o commento allegato, lasciando intuire al compositore che il brano non lo avesse impressionato in alcun modo. Sull’orlo di una depressione, Barber rimase incredibilmente sollevato quando seppe tramite Menotti che Toscanini era rimasto impressionato dall’Adagio, e che intendeva eseguirlo in prima mondiale in un concerto a lui dedicato. Il motivo per cui aveva rispedito la parte indietro era semplicemente dovuta al fatto che l’aveva imparata a memoria. “Simple and Beautiful”, avrebbe commentato in seguito.
Quasi superfluo dire che il concerto, che si tenne il 5 novembre del 1938 fu un successo, e oggi quella registrazione è conservata nel reparto dedicato della Library of The Congress, scelta come esempio di brani più importanti della storia americana.

La ricezione critica e “il brano più triste della storia”

Il successo della premiere dell’Adagio, dopo la prima Toscaniniana, fu ribadito dall’utilizzo “strumentale” che ne venne fatto in seguito come colonna sonora di film o anche di eventi storici. Il 12 aprile 1945, giorno della morte del Presidente Roosevelt, e radio nazionali degli Stati Uniti trasmisero l’Adagio per celebrare la figura titanica del presidente. E da allora divenne la musica di tutte le celebrazioni più dolorose della storia degli Stati Uniti e non solo.
Nonostante l’enorme successo di pubblico, la ricezione critica fu tutt’altro che concorde nell’affermare la statura di capolavoro di questo brano. Gran parte delle accuse che furono rivolte a Barber furono quelle di essere un “conservatore”, o un “neo-romantico”, cosa peraltro piuttosto frequente in un momento storico in cui le avanguardie avevano come obiettivo piuttosto sistematico quello di annullare le forme della musica del passato nella maniera più radicale possibile. Tuttavia con gli anni questi termini sono diventati gradualmente un apprezzamento:

“Barber’s style can be described as neo-Romantic. He composed through a modernist lens, incorporating some 20th-century techniques, but sourced his main inspiration from the Romantic period, giving new life and vitality to the forms and tonal language of the past. Like Brahms, whose classical structures and baroque leanings sit comfortably next to his ardent Romanticism, Barber was stimulated by the rich legacy that lay before him (of Bach, Mozart, Beethoven, Chopin and Brahms), but he always sought new meaning, creating an individual and unmistakable voice for his own deeply felt poeticism.”

(The Guardian, 18 novembre 2010)

L’ultimo grande riconoscimento che è stato conferito a Barber, postumo, è stato quello di aver scritto “Il brano più triste della storia”. Nel 2004, gli ascoltatori di BBC Today lo votarono a maggioranza assoluta in questa singolare competizione, davanti al Lamento di Didone di Purcell, l’Adagietto della Quinta Sinfonia di Mahler e Le Metamorfosi di Richard Strauss. Il caso vuole che questo brano fu completato, tra l’altro, lo stesso giorno in cui l’Adagio veniva trasmesso negli Stati Uniti in occasione della morte di Roosevelt.
Ad ogni modo, è interessante notare come questo riconoscimento abbia chiudendo idealmente un circolo che era iniziato con la prima composizione che aveva scritto un giovanissimo Samuel a sette anni. Un piccolo pezzo, in do minore, di appena ventitre battute, che però aveva un che di profetico e che avrebbe indotto il ragazzo, due anni dopo, a implorare la madre di farlo diventare un compositore.

Il titolo del brano? Sadness, guarda caso.

Filippo Simonelli


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