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Creare la tradizione

di Filippo Simonelli - 18 Settembre 2019

la seconda edizione del Festival Cristofori

Nella storia della musica, la consapevolezza di poggiare sulle spalle dei giganti dei secoli passati si è stratificata con forza nel corso del tempo. Ad offrire uno spaccato significativo di come questo senso di auctoritas si sia radicata nelle menti dei musicisti c’è sicuramente la didattica: il senso di deferenza alle scelte e le prassi dei “maestri del passato” fa capolino in ogni pagina di un manuale classico del diciottesimo secolo come il Gradus ad Parnassum di Fux, testo cardine della disciplina contrappuntistica su cui hanno studiato Beethoven e i suoi pari; ma se si prende un’edizione in lingua inglese e la si confronta con il manuale di Orchestrazione di Samuel Adler, la cui prima pubblicazione risale al 1982, si possono trovare le stesse parole di adorazione quasi fideistica nei confronti delle opere del passato, utilizzate per giustificare quei momenti in cui la teoria diventa agli occhi dello studente come quasi un atto di fede.

Anche i compositori hanno sentito nel tempo la necessità di costruirsi una tradizione di riferimento, quasi fosse un castello, su cui edificare la propria torre da cui dispiegare la propria visione della musica e del mondo stesso. Arnold Schönberg, che con la sua opera ha generato una cascata di iconoclastia nei confronti della tradizione a lui precedente, riteneva di essere figlio di quella stessa tradizione delle tre B: Bach, Beethoven e Brahms. Parlando proprio del compositore di Amburgo in un saggio significativamente intitolato “Brahms il progressivo”, il musicista viennese dapprima si ritiene epigono di quell’epoca che va dal Kantor all’autore del Requiem tedesco, si definisce poi allievo-figlio di Mozart, ed infine giustifica il suo utilizzo delle strutture formali della musica e degli accorgimenti ritmici e melodici con cui puntellava le sue composizioni illustrandone, a suo dire, la perfetta continuità con ciò che avevano fatto i suoi illustri predecessori. Per ricollegarci anche alle considerazioni sull’ambito didattico, è interessante notare come Schönberg stesso sia stato un docente stimato nonché prolifico autore di manuali ancor oggi studiati e dibattuti da musicisti e studiosi. Inevitabilmente anche in questo campo inseriva il suo metodo e l’estetica che traspare dalle sue pagine in un solco tracciato dai grandi che lo avevano preceduto. Anche Igor Stravinsky, tanto incendiario quanto il suo collega viennese nei confronti del passato romantico e altrettanto veemente contro l’accademismo, nutriva in realtà una profondissima reverenza nei confronti del passato. All’alba del Neoclassicismo che lui stesso avrebbe inaugurato, il compositore russo sentì il bisogno di giustificare l’idea alla base del suo Pulcinella come frutto del genio di Pergolesi, per inserirsi in un lignaggio ereditario che avrebbe nobilitato ancora di più il suo lavoro.

La necessità di creare la tradizione è dunque un trait d’union significativo e ricorrente in tutta l’evoluzione della musica e dei suoi linguaggi, ed è su questo tema il Festival Pianistico Internazionale Bartolomeo Cristofori ha deciso di incentrare la sua prossima edizione, in calendario a partire dal 21 fino al 29 settembre a Padova, città natale dell’inventore del pianoforte. Il naturalmente mette al centro della sua attenzione il pianoforte, principe degli strumenti. Ad inaugurare la kermesse sarà Francesco Piemontesi, con un programma dedicato alle trascrizioni di Bach fatte da Wilhelm Kempff e Ferruccio Busoni nella prima parte e alla sonata in Re Maggiore op. 53 di Schubert, compositore con cui Piemontesi si è anche confrontato in una recente incisione discografica. La protagonista della seconda serata è Martina Filjak, in un variegato programma con brani originali per strumenti a tastiera di Rameau, Franck e Liszt e una ricca selezione di trascrizioni ed elaborazioni lisztiane di musiche di Palestrina, Bach e Donizetti. Ad unire i due weekend di programmazione più intensa, in mezzo alla settimana, ci saranno altri concerti: due eventi pomeridiani per la rassegna “Talenti emergenti” in cui saranno protagonisti i vincitori delle borse di studio “Salvatore Lo Bello”: si esibiranno martedì 24 il pianista Davide Scarabottolo, e giovedì 26 Eduardo e Sara Castellano in un duo per pianoforte a 4 mani. Scarabottolo si concentrerà su un concerto improntato su una selezione di Studi Trascendentali di Liszt, uniti all’Andante e Variazioni in Fa Minore di Haydn, la Polacca op. 44 di Chopin e la Fantasia “Apres una lecture de Dante” di Liszt, mentre il duo Castellano presenterà un programma di stampo francese con l’immancabile Ma Mere l’Oeye di Ravel, la Sonata per pianoforte a quattro mani di Poulenc, la Suite Francese di Ballico e la Petite Suite di Debussy.

Il lungo weekend successivo ci porta verso la conclusione del festival e ben tre concerti: l’esibizione di Costantino Mastroprimiano, virtuoso del pianoforte storico che venerdì sera si esibirà su una riproduzione di un pianoforte Dulcken, strumento dei primi anni del diciannovesimo secolo di fabbricazione fiamminga. Il suo programma prevede un repertrio “a tema con lo strumento”: le Variazioni in Fa Minore di Haydn, la Sonata in Do Maggiore di Hummel e la celeberrima Waldstein di Beethoven. Il trio Tonolo, che si esibirà in un duplice omaggio a Duke Ellington e Thelonious Monk, animerà il sabato sera del festival, arrivando poi alla serata conclusiva che vedrà al centro della scena il duo formato da Lukas Geniušas e Anna Geniushene. I due pianisti russi affronteranno un repertorio all’insegna della trascrizione: la Fantasia in Do Minore di Mozart nella versione per due pianoforti di Grieg, i sei studi in forma di Canone di Schumann riletti da Debussy, una serie di Valzer di Schubert riorganizzati in forma di suite da Prokofiev e l’Introduzione e Rondò Capriccioso di Saint-Saens anch’essa nella versione di Debussy, con le Variazioni Paganini di Lutoslawski ed il brano Du côté de chez Swann di Desyatnikov.

Nella grande varietà dei programmi proposti dagli artisti, il Festival Cristofori ha scelto di declinare il tema della Costruzione della tradizione in una grande varietà di modi. Ad apparire più immediato è sicuramente il collegamento con il programma di Mastroprimiano, anche in virtù della natura dello strumento suonato dal musicista foggiano che richiama immediatamente l’ambito della ricerca filologica e la ricerca di aderire in maniera più fedele possibile alle intenzioni originarie dell’autore. Ma c’è anche la tradizione del jazz con l’omaggio al Duca ed a Monk nella formazione più tipica del suo genere. E sono poi le trascrizioni ad unire gli altri puntini: l’operazione che sta dietro alla traslazione di un brano per pianoforte non è ahiaramente un mero fatto di meccanica musicale, ma contribuisce alla creazione di un repertorio canonico per lo strumento.
La tradizione dunque non viene intesa come un canone stabilito apriori, monolitico e immutabile; piuttosto è qualcosa che viene scelto per la sua capacità di rinnovarsi costantemente e di mostrarsi differente a seconda del punto dal quale si guarda anzi, in questo caso, si ascolta. La musica, infatti, non è una faccenda personale ma collettiva: l’esperienza del singolo compositore ha valore nella propagazione del suo sapere, come una sorta di contaminazione che arriva a occupare spazi e tempi differenti.

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