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Il Carnevale secondo Paganini e Schumann

di Filippo Simonelli - 9 Febbraio 2016

Tradurre in suoni le feste del Carnevale.

Nell’immaginario romantico la cultura popolare e più in generale il mito del Volk hanno sempre occupato un ruolo centrale e determinante. E questo tratto saliente del pensiero romantico non poteva non essere influenzato da una delle manifestazioni popolari più suggestive di sempre, il carnevale.

Forse la più celebre composizione che evoca i festeggiamenti carnascialeschi è proprio il Carnevale di Venezia, un tema con variazioni composto da Nicolò Paganini sull’Aria tipica della città lagunare “O mamma, mamma cara”. Il brano è costruito secondo la tradizione del virtuosismo del primo ottocento, e il tema leggero della canzone veneziana si presta alla perfezione per essere rivoltato, riletto, velocizzato, usato a mo’ di gioco dal compositore genoano e dalla sua immensa padronanza dello strumento. Come spesso accade per la musica di Paganini non c’è molto da aggiungere alla suggestione dell’ascolto stesso. Che però merita di esser fatto, senza dubbio, specie in questa esecuzione del duo Accardo-Bandini, che hanno il merito di aver sostituito il pianoforte originariamente previsto da Paganini con una chitarra, strumento con cui il maestro di Genova era decisamente più a suo agio

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Robert Schumann dal canto suo rimase stregato da un altro carnevale. Il compositore tedesco prese parte a quello viennese nel 1835, casualmente proprio dopo aver completato la composizione dell’Opus 9, intitolata Carnaval, ispirata in realtà alla commedia dell’arte italiana e alle composizioni brevi di Schubert. Ma l’eco dei fasti e dei festeggiamenti della capitale imperiale si ritrovano tutti nella “Fantasiebilder Faschingschwank aus Wien” op. 26, ovvero i Quadri Fantastici sul Carnevale di Vienna.

L’opera è divisa in quattro (o secondo alcune partizioni cinque) episodi, con un brillantissimo Allegro d’esordio che occupa in realtà quasi metà della composizione da solo. Tra i movimenti è senza dubbio quello più propriamente carnascialesco, dove il compositore mantiene il giusto equilibrio tra virtuosismo e estro creativo, e pare dalle testimonianze che lo stesso Schumann ci ha lasciato, che sia stato abbozzato di getto salvo poi essere tenuto in stallo e infine completato in un secondo impeto creativo.

Terminato l’allegro, che è a tutti gli effetti architettato come il primo movimento di una sonata, ci si tuffa in una romanza in tonalità minore tutta densa di lirismo, che pur nella sua brevità presenta una serie di progressioni notevoli e tipiche del modo di comporre dello Schumann pianista.

Segue ad esso un breve Scherzino, il movimento che rende complessa la classificazione dell’opera come sonata convenzionale. Il breve passaggio civettuolo che caratterizza questo breve momento di pausa tra due pagine dagli ampi respiri fece si che i commentatori lo definirono “il bighellonare di uno spirito ozioso durante una festa” .

L’Intermezzo che segue fu inserito in realtà a posteriori da Schumann. La pagina, datata 1839, è posteriore di ben quattro anni al resto della composizione, ed è concepita da un uomo più maturo, addirittura innamorato. Non ci sono dubbi infatti su chi sia la destinataria di questo vorticoso arpeggio in mi bemolle minore, se non quella stessa Clara Wieck che alla fine del 1840 sarebbe diventata la signora Schumann e a cui il virtuoso di Zwickau ha dedicato molte delle sue pagine più intense e cariche di passione.

Dopo essersi beato con questo “fantasiebild”, l’ascoltatore viene rilanciato senza preavviso nell’atmosfera caotica del Finale, che con il suo virtuosistico saliscendi e un brusco alternarsi di ritmi rievoca alla perfezione quella stessa atmosfera festosa che aveva permeato l’allegro iniziale, dando forma ad un corpo più unitario di quanto la faticosa e irregolare composizione del brano non avrebbe potuto lasciare intendere.

Filippo Simonelli


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