Andres Segovia, l’eredità del maestro
di Filippo Simonelli - 21 Febbraio 2016
“Un chitarrista passa metà della sua vita ad accordare e l’altra metà a suonare uno strumento scordato.” Andrès Segovia era solito deliziare i suoi uditori con perle di saggezza di questo calibro. Ma del resto poteva permetterselo, e lo sapeva bene.
Non c’è mai stato musicista , o sarebbe meglio dire che non c’è mai stato un esecutore in grado di segnare il passo nella storia di uno strumento come ha fatto Andres Segovia con la chitarra. Alcuni lo hanno paragonato a Paganini, altri in maniera più raffinata a Carl Czerny, con cui condivide anche la data di nascita. Ma non ci sono paragoni che colgano il segno, perché Segovia è stato molto più che un semplice virtuoso o un pioniere della didattica. Quest’uomo, nato a Linares il 21 febbraio di 123 anni fa, ha letteralmente inventato uno strumento. La chitarra e il suo repertorio, per larga parte, sono come li conosciamo oggi perché così ha voluto Andres. Perché la sua testardaggine lo ha portato in un primo tempo alla ribalta come esecutore, quando era un giovanotto piuttosto pieno di se che si aggirava per la Spagna a caccia di sale da concerto, e poi lo ha portato in giro per l’Europa e poi per il mondo a sedurre con il suo talento i più grandi compositori della sua epoca convincendoli a scrivere musica per lui e per il suo strumento, troppo a lungo un reietto dimenticato dalla grande musica.
Nella sua biografia Segovia ha raccontato un episodio decisamente esplicativo della sua personalità e del contesto difficile in cui era costretto ad operare. Dopo essere stato definitivamente conquistato nella tenera infanzia dalla chitarra, Segovia, autodefinitosi “apostolo della chitarra”, si muoveva irrequieto per la provincia spagnola a caccia di notorietà. Dopo aver ottenuto risultati insoddisfacenti in alcuni centri minori, decise di tentare direttamente il colpo grosso andando direttamente al cuore della Spagna musicale, Madrid. Dopo un ulteriore periodo di pellegrinaggio, il giovane Andres era riuscito a combinare un concerto all’Ateneo della capitale spagnola. Era però consapevole che la sua chitarra, ricevuta in regalo da Benido Ferrer a dodici anni, non era adatta al contesto, così, con una notevole dose di faccia tosta decise di presentarsi da Manuel Ramirez, il liutaio più famoso della città, con l’intento di farsi noleggiare uno strumento. La logica del ragionamento del giovane musicista era semplice: se si noleggiano i pianoforti, non vedo perché non si dovrebbe fare lo stesso con le chitarre, avrà pensato. Ed in effetti, nonostante la sua reputazione inesistente e le fragorose risate con cui Ramirez accolse la sua proposta, Segovia uscì dalla sua bottega con una chitarra che poi non lo avrebbe mai abbandonato per i successivi quarant’anni. E anche qualcosa di più.
Mentre Andres era intento a provare lo strumento nella bottega, Don Jose del Hierro, professore di violino del conservatorio di Madrid entrò nel negozio. Rimasto ovviamente stupito dal talento del giovane musicista Andaluso, il violinista sentenziò che era un peccato che stesse sprecando quel talento donato da Dio su di uno strumento così solitario e selvaggio… Nonostante le lusinghe e i numerosi tentativi di indurre Segovia a cambiare i suoi studi, Don Jose fallì. E il resto della storia è ben noto. Di Don Jose ricordiamo qualche composizione, un capriccio e una Jota che ebbero discreto successo in Spagna e una onesta carriera accademica. E quattro anni dopo sarebbe incominciato il primo tour internazionale di Andres Segovia, l’apostolo della chitarra.
Non molto tempo dopo quella stessa chitarra di Ramirez sarebbe stata fondamentale per uno degli incontri più prolifici della vita di Segovia, e vitale per tutti gli appassionati e studiosi dello strumento a sei corde. Segovia era già un virtuoso affermato e durante un soggiorno parigino era inevitabilmente al centro delle attenzioni della elitè culturale francese. Una sera ad una festa organizzata a casa di Olga Moraes gli fu domandato dal collega portoghese Costa un parere sulla musica di Heitor Villa-Lobos, presente anch’esso al convivio all’insaputa di Segovia. Già all’epoca Segovia era decisamente esigente, e definì l’opera del compositore brasiliano “antichitarristica”. Villa-Lobos aveva assistito incuriosito a quel giudizio così tranchant della sua musica, e chiese dunque perché le sue opere fossero così antichitarristiche. Segovia si difese sostenendo che l’utilizzo del mignolo prescritto da Villa-Lobos non era appropriato alla musica classica. A quel punto successe una cosa imprevista. Villa Lobos, dapprima invitò Segovia a tagliarsi il mignolo, poi riuscì pur a fatica a farsi prestare lo strumento da Segovia, che suonò con tanta maestria (nonostante l’utilizzo del mignolo e altre imperfezioni tipiche degli autodidatti).
Forse per non dare soddisfazione all’altro, Segovia prese il suo strumento e senza grosse cerimonie se ne andò.
Eppure si presentò il giorno dopo, armato di chitarra e forse per una volta di umiltà, a casa di Villa-Lobos. I due suonarono e duettarono insieme fino a notte fonda, e quel giorno nacque l’amicizia che ha portato poi alla composizione dei dodici studi di Villa-Lobos, una delle forche caudine necessarie per tutti i giovani chitarristi.
Probabilmente il rapporto di Segovia con i giovani chitarristi non fu mai dei migliori. Dopo la seconda guerra mondiale gli fu affidata la cattedra di chitarra presso la Accademia Chigiana, dove fu insegnante tra gli altri di John Williams. Quest’ultimo, pur essendo stato sempre grato al maestro, ha avuto occasione di togliersi non pochi sassolini dalla scarpa. Nel 2012 Williams accusò il defunto maestro di essersi comportato spesse volte in maniera snobistica nei confronti dei compositori contemporanei e di fare il “bullo” con gli allievi, costringendoli a suonare nell’unico modo che riteneva valido. Il suo. Un giorno, racconta Williams nel suo “Strings Attached: The Life and Music of John Williams“, Segovia era a Londra per trovare l’allievo. Lo trovò intento a suonare un pezzo bellissimo, che colpì la sua attenzione. Domandò di cosa si trattasse, ma quando Williams gli rivelò che era la Cavatina di Stanley Myers, la colonna sonora del film “Il Cacciatore”, Segovia non proferì più parola.
Forse non si è mai trattato di una persona umile e disponibile o di un didatta eccelso, ma l’eredità che ha lasciato Andres Segovia sta tutta nel ritrovato prestigio di uno strumento, la chitarra, che ancora oggi fatica ad affrancarsi di fronte al grande pubblico dai cliché popolari e dall’utilizzo “da spiaggia” che in molti ancora ne fanno. La necessaria supponenza con cui Segovia si rivolgeva a chi non riteneva all’altezza, fosse troppo modernista, troppo commerciale (la chitarra elettrica era “la prostituta” per lui) o troppo povero musicalmente (come nel caso di Sor con cui ebbe sempre un rapporto ambivalente), è stata una calamita per chi intendeva cimentarsi con uno strumento nuovo. E un prezioso filtro con cui selezionare il repertorio dei suoi concerti e della sua attività filologica.
Non è stato il primo ad iniziare l’opera di trascrizione del repertorio degli altri strumenti (il primo a farlo in maniera sistematica fu Tarrega, di cui contiamo più di 250 trascrizioni), ma è grazie a lui se oggi Bach, De Visee e Weiss sono patrimonio comune delle sei corde. E se molti grandi maestri del novecento hanno concorso al rinascimento che lui stesso ha iniziato.
Filippo Simonelli
per approfondire:
http://www.guitarramagazine.com/andres_segovia_memory
http://www.theguardian.com/music/2012/oct/14/john-williams-accuses-segovia-snob
F. Zigante “Edizione critica dei Dodici studi di Heitor Villa-Lobos“, Durand Salabert Eschig, 2008