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5 ascolti per incontrare Corelli

di Filippo Simonelli - 16 Febbraio 2016

La musica di Arcangelo Corelli rappresenta uno dei punti più alti del barocco italiano. Il compositore di Fusignano infatti concentrò in appena 72 composizioni tutta la ricchezza della tecnica violinistica più alta in circolazione nell’Italia del suo tempo, rimasta forse insuperata come ispirazione fino a Paganini e alla pari con Vivaldi.

La sua musica, squisitamente partecipata di una idea filosofica forte e con legami “cartesiani” e al tempo stesso di richiami folcloristici come all’abusatissimo tema della “Follia”, ha dato un forte impulso alla composizione successiva a lui e la ricerca anche virtuosistica del Corelli violinista è stata preziosa per lo sviluppo della musica strumentale italiana. 

Naturalmente si incomincia con la Follia. Sebbene, come già accennato sopra, questo popolare tema in re minore sia tra i più celebri e più ripresi e variati e amati dai compositori barocchi, è Corelli l’autore a cui più è legata la sua fama ai giorni nostri. L’opera è appunto una serie di variazioni sul tema, in cui si alternano momenti di stasi condotti dal continuo al clavicembalo e brillanti scatti di virtuosismo quasi isterico del violino, diventando così un must per i solisti amanti del barocco.

Il concerto in Sol minore per la notte di Natale è forse il più celebre della serie dei 12 concerti grossi di Corelli. Tra i più lunghi della serie, il concerto è l’ultimo dei “concerti da chiesa” e conta ben 6 movimenti di cui un sesto “Largo Pastorale” che ne è diventato cifra caratteristica, rappresentando in pieno l’ideale barocco per cui la musica doveva “stupire e commuovere”, ideale che rimarrà sovrano fino al tempo di Immanuel Kant.

Le sonate per violino di Corelli rappresentano il culmine del suo sforzo virtuosistico, nonostante la costruzione armonica sia tutt’altro che spoglia o abbia funzione di semplice accompagnamento. Questee sonate rimasero famose ben oltre la morte del compositore, che spesso era anche esecutore unico all’epoca, e come ha affermato il critico James Mannheim, rappresentano un buon esempio di ornamenti liberi, ovvero non scritti e lasciati per quanto possibile alla discrezionalità del solista.

Le Sonate da Camera di Corelli diedero un vitale impulso al genere cameristico della sonata a tre, all’epoca quasi sconosciuto in Italia. Furono scritte per il cardinal Pamphili e probabilmente servivano come passatempo per lo svago domenicale del cardinale e la sua curia, alternando due movimenti rapidi a uno più mesto e riflessivo. I concerti venivano eseguiti da Corelli in persona con l’allievo Matteo Fornari e il violoncellista Lulier, come solisti assieme all’orchestra personale del cardinale.

Il Concerto in Re Maggiore fu uno dei lavori più popolari del repertorio Corelliano, tanto da essere stampato anche “all’estero” (prima a Roma poi addirittura ad Amsterdam) già durante la vita del compositore, e nel 1800 si contavano già ben 42 edizioni. L’opera è una vera perla del barocco italiano, ma lo stesso Corelli era molto critico dei suoi lavori in quanto sentiva come una grave pecca la assoluta predominanza del violino a danno degli altri strumenti. “Le mie Sinfonie sono fatte solamente per far campeggiare il violino e quelle d’altri Professori non mi paiono cosa a proposito. Sto adesso componendo certe Sonate che si faranno nella prima Accademia di Sua Maestà di Svezia della quale sono entrato in servizio per Musico da Camera, e finite che le avrò, ne comporrò una per Vossignoria… dove il Leuto pareggierà il Violino“.

Lorenzo Papacci 

Filippo Simonelli

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