Si può studiare musica a distanza?
di Filippo Simonelli - 2 Febbraio 2022
Si può studiare la musica a distanza? Il lockdown e le restrizioni pandemiche ci hanno posto di fronte a questo gravoso interrogativo più volte dalla primavera del 2020 ad oggi; lo sviluppo tecnologico ci ha offerto delle soluzioni più o meno soddisfacenti che sono in continua evoluzione, complice anche l’entrata a regime della faccenda a cui stiamo assistendo. Per capire però qualcosa di più di questa faccenda, è il caso di metterla in una prospettiva più ampia. Come nota di metodo è bene indicare che abbiamo raccolto alcune testimonianze di studenti di vari istituti italiani, che hanno scelto di manifestare le proprie impressioni – e talvolta anche le perplessità – in forma anonima.
Fino a qualche anno fa porre una domanda del genere avrebbe causato qualche perplessità a qualsiasi interlocutore l’avessimo posta: in che senso studiare a distanza? Per fare cosa, poi? Intendi dire che si studia a casa e poi si va dal maestro?
In realtà, la questione dello studio a distanza esisteva già, ma veniva posta in termini differenti: in musica, come in molti altri campi del sapere, la distanza necessaria per lo studio veniva fisicamente colmata dallo spostamento dello studente presso il docente, oppure in casi più circoscritti, nell’itinerare di questi ultimi in giro per Masterclass. Il caso più celebre di uno studente che colmò una distanza notevole per studiare, mostrando una notevole perseveranza, è quello di Johann Sebastian Bach che si recò ad ascoltare Buxtehude per apprendere “i fondamenti della sua arte” camminando per quasi 400 chilometri.
L’aneddoto bachiano lascia il tempo che trova, ma ci permette di enucleare una delle grandi problematiche che la “distanza” porta con sé nello studio della musica, ovvero quello di cucire la separazione fisica tra docente e discente. Questa poi è stata esasperata, inevitabilmente, dal lockdown e dalle sue conseguenze. Ci sono stati mesi in cui, coi conservatori e le scuole di musica di ogni grado chiusi, l’unico modo per mantenere vivo un contatto col proprio insegnante era quello di trovare una collocazione decente al proprio computer – o per i più attrezzati, alla propria telecamera – e accettare di essere valutati, indirizzati e consigliati da una voce metallica filtrata dai microfoni di questa o quella piattaforma di videocomunicazioni. Per paradossale che possa sembrare, la faccenda va ancora avanti in alcuni istituti del nostro paese con risultati, ed è importante metterlo in chiaro, non sempre così deleteri. “E non è sempre così male, in realtà” spiegano alcuni studenti del Conservatorio Santa Cecilia di Roma. “Per fare le lezioni che richiedono il pianoforte, chiaramente, i limiti si sentono tutti, ma con gli insegnanti più volenterosi – e nelle materie teoriche soprattutto – si possono ottenere dei buoni risultati.” “O quantomeno delle buone approssimazioni” chiosa un altro, più schiettamente disilluso.
Questo perché, come spesso accade, al problema di natura pratica risponde almeno in parte la creatività delle persone che, sperimentando un problema sulla propria pelle, scelgono di applicarsi per trovare una soluzione che poi possa andare bene anche per le esigenze di altri. Si tratta del caso di Bravo!, un’app sviluppata da alcuni giovani musicisti palermitani che risponde proprio alle esigenze di quanti si sono dovuti trovare a studiare da remoto per mesi e si stanno adattando anche a questo nuova normalità.
C’è anche da notare come, col proliferare di insegnamenti teorici nei conservatori sempre più assimilati alle università, questi possano essere effettivamente impartiti tramite videolezioni senza i limiti che la pratica strumentale porta con sé. Che poi esistano altri problemi, che manchino i riscontri diretti e tutti quei benefici immateriali che porta il contatto diretto tra studenti – e tra questi e i docenti – è un altro discorso che di nuovo accomuna lo studio della musica alle altre istituzioni didattiche.
La questione è diventata ancor più stringente per quel gruppo di studenti, piuttosto consistenti, che non possono limitarsi al contatto a tu per tu col docente, ma si trovano anche a dover fare musica con altri. Le classi di musica di insieme sono risultate inevitabilmente tra le più penalizzate in questa faccenda. Ma non solo: anche chi magari deve interpretare un ruolo solistico in un contesto da camera e non può studiare assieme al proprio accompagnatore affronta difficoltà il cui superamento è diventato ancora più complesso. Per fortuna anche qui la tecnologia può venire in soccorso degli studenti, perché la situazione di partenza era già piuttosto compromessa, vista la generale scarsità di pianisti accompagnatori che caratterizza una larga fetta dei Conservatori: stando ai dati aggiornati al 2018, meno del 5% degli studenti iscritti negli istituti statali frequentava classi di accompagnamento pianistico, ed è fisiologico pensare ad una successiva caduta in termini assoluti di questo numero nella fase successiva al diploma.
Tra le conseguenze della vicenda c’è tuttavia anche qualche dato positivo: lo sviluppo degli strumenti tecnologici e il raffinamento soprattutto della trasmissione dei suoni – che permette una valutazione più approfondita da parte dei docenti – ci sono studenti che possono raggiungere prestigiosi maestri in giro per il mondo senza dover sostenere costi ulteriori di spostamento e vita quotidiana oltre a quelli già spesso impegnativi dei corsi di musica, specie nei paesi di cultura anglosassone. “Per come sono strutturate le masterclass – e per quanto ci costerebbero – le lezioni a distanza con maestri che sono dall’altra parte dell’oceano sono una grande fortuna” ci racconta una studentessa del Conservatorio di Parma. “Bisogna fare un piccolo investimento – per fortuna una tantum – per avere una buona attrezzatura, ma poi è qualcosa che rimane anche per registrare video e audizioni.”
Di questo problema avevamo anche già discusso con Roberto Prosseda, Giorgio Colombo Taccani e Carlo Mazzini in una delle prime puntate del Circolo delle Quinte. Erano altri tempi, ma i problemi enucleati erano incredibilmente simili a quelli che affrontiamo adesso.