Per una fase due del settore musicale
di Filippo Simonelli - 30 Aprile 2020
Quale futuro per la musica nel tempo delle riaperture?
La conferenza stampa del presidente del Consiglio ha destato perplessità sui dettagli della cosiddetta fase due una comprensibile perplessità nel mondo della musica classica e di tutte le categorie che in questo lavorano. L’unica menzione, en passant, è stata quella relativa ai sussidi di cui i lavoratori dello spettacolo largamente intesi potranno beneficiare; nessun cenno alla riapertura degli spettacoli dal vivo, alla ripresa delle attività anche solo di prova, alla possibilità di organizzare eventi all’aperto.
Dopo settimane in cui si sono susseguite, in un climax di ansie e allarmismo, profezie sui tempi della riapertura e su eventuali (e improbabili) strumenti tecnologici alternativi a questa eventualità, è diventato necessario fare chiarezza sulla situazione, lo stato attuale dell’arte e le possibilità future.
Rebus sic stantibus: bonus e sussidi per i lavoratori freelance
Il decreto-legge numero 18/2020, noto come Cura Italia, riserva alle attività dello spettacolo dal vivo l’articolo 89 in cui viene definito, “al fine di sostenere i settori dello spettacolo, del cinema e dell’audiovisivo a seguito delle misure di contenimento del COVID-19” un duplice fondo dal valore di 130 milioni di euro. Come da norma per i decreti-legge, a questo ha fatto seguito un decreto attuativo del ministero competente (Mibact in questo caso) in cui di questi 130 milioni ne venivano destinati 20 al settore dello spettacolo dal vivo, destinati a realtà con sede in Italia che abbiano messo in scena un minimo di 15 rappresentazioni in un anno e con 45 giorni di versamenti contributivi che non hanno avuto accesso alle risorse del FUS dell’anno precedente. Questo significa che queste risorse vanno a sommarsi a quelle già normalmente destinate dal Fondo Unico che nel 2019 sono state pari a 350 milioni di euro.
“La situazione dei lavoratori autonomi (docenti e musicisti) non è identica per tutti i settori: sono stati infatti previsti due casi per il nostro settore: il primo è quello di chi è iscritto alla gestione separata INPS con regolare partita iva riceverà, o ha già ricevuto il bonus da 600 euro che potrebbe essere elevato probabilmente a 800 euro nei prossimi mesi. senza nessuna verifica del reddito conseguito nell’anno precedente e senza verificare se, al momento dell’emergenza, continui o abbia sospeso la sua prestazione lavorativa. In alcuni casi, in pratica, ci saranno dei docenti a partita iva, iscritti all’INPS gestione separata, che continuano le loro lezioni on line, spiccheranno comunque le loro fatture ai committenti e beneficeranno dell’indennità. L’altra casistica si riferisce invece ai lavoratori dello spettacolo con o senza partita iva che, per poter accedere all’indennità dovranno aver posseduto, nell’anno 2019 30 giornate lavorative giornate che saranno maturate solo da alcuni soggetti con l’ulteriore limite, da verificare, di aver avuto, nel 2019, un reddito inferiore a 50 mila euro.
La situazione per musicisti che di fatto sono freelance, come quelli che fanno parte di cooperative, è ancora più delicata. “Per un musicista, soprattutto giovane, iscriversi ad una cooperativa rappresenta senza dubbio un’ipotesi allettante in prima battuta: non ci sono tutti i problemi e i costi legati alla gestione della partita IVA, e inoltre a fronte di una quota associativa alla cooperativa i musicisti risultano di fatto in regola con gli aspetti contributivi normalmente. Ma, mentre queste per altre figure professionali fungono anche da agenzia di collocamento, ai musicisti rimane comunque l’onere di procacciarsi il lavoro da soli. Mi spiego: se io cittadino mi rivolgo ad una cooperativa per avere una colf o un idraulico, un professionista vale l’altro. Se invece sono un direttore artistico, per me è chiaro che i musicisti non sono tutti uguali per svariati motivi, e quindi la cooperativa non funge da filtro in nessun modo. In questa situazione attuale poi, i musicisti che si trovano in questa situazione (associati ad una cooperativa) non dovrebbero poter accedere a sussidi di sorta, non essendo titolari di partita IVA ma lavoratori dipendenti, se pur a tempo determinato. Una brutta gatta da pelare per loro, ma il quadro è in continua evoluzione.” Probabilmente per questi ultimi sarà possibile accedere al cosiddetto reddito di ultima istanza, ma la situazione normativa è ancora in evoluzione.”
La situazione di orchestre stabili e fondazioni
La situazione per i musicisti e i dipendenti di fondazioni e orchestre stabili non è necessariamente più rosea. In quanto lavoratori subordinati questi sono titolari di uno stipendio fisso o nelle eventualità più drammatiche di sofferenza, possono accedere ai cosiddetti ammortizzatori sociali come la Cassa Integrazione, il Fondo di Integrazione Salariale (FIS), o la Nuova Assicurazione Sociale di Impiego (NASPI). Questo scenario rischia già di verificarsi: il Teatro Carlo Felice di Genova si trova attualmente in serio pericolo ed una situazione analoga potrebbe verificarsi per l’Orchestra Haydn di Bolzano.
Lucia Maggi, avvocato e docente dei corsi di specializzazione dell’Accademia di Pinerolo ha prodotto una guida dettagliata con le varie situazioni che si possono verificare per i lavoratori dello spettacolo in gran parte delle casistiche. “Gran parte dei musicisti che si sono rivolti a me” spiega “hanno anche il problema di aver perso tutti i contratti che avevano per questi mesi ed è probabile che ne saltino altri ancora molto a lungo. Un’altra possibile soluzione per recuperare parte dei mancati guadagni, secondo la giurista, è quella di iscriversi società di raccolta per i diritti degli esecutori che maturano quando vengono trasmesse loro esecuzioni in televisione; in questo modo si possono raccogliere quei diritti che maturano in base all’articolo 72-bis della Legge 633/1941 (legge sul diritto d’autore, N.d.A.). Chiaramente non basta a coprire tutte le perdite, ma se non altro è un inizio.”
Un Netflix della cultura?
Chiaramente il proliferare della musica online ha avuto effetti sulla community della musica dal vivo. Ad una prima risposta di generalizzato entusiasmo, che ha mostrato una sorprendente capacità adattiva del settore oltre che una grande generosità, è subentrata una comprensibile ansia diffusa legata per lo più ai rischi di essere in qualche modo “soppiantati” da questa forma surrogata di spettacolo. Le dichiarazioni del ministro Franceschini sulla possibilità di aprire un non meglio precisato “Netflix della cultura” hanno provocato una levata di scudi nell’immediato, tanto che il progetto sembra destinato a naufragare ancor prima del varo. Ma a mente fredda è necessario porsi qualche altra questione: lo streaming è davvero un’ultima spiaggia per il settore, ora come ora? Quanto si può andare avanti su questa falsariga? Il concerto in streaming attira lo stesso pubblico dell’evento dal vivo? E soprattutto, siamo disposti a pagare per una cosa del genere almeno quanto saremmo disposti a farlo per eventi a cui si va non solo per l’esperienza musicale pura, che rimane l’attrazione maggiore, ma anche per tutta l’esperienza sociale che ne deriva e perché no, per quello status symbol che è ancora la musica classica per parte dei suoi frequentatori? Ci sono esperienze all’estero di servizi in streaming virtuosi e che offrono prodotti di qualità assoluta – su tutti la Digital Concert Hall dei Berliner Philharmoniker – ma che funzionano sostanzialmente come alternativa occasionale al prodotto musicale vero e proprio e godono di una struttura organizzativa unica al mondo o comunque difficilmente replicabile, specie dalle tante piccole realtà che in Italia riescono ad organizzare prodotti di qualità dal vivo.
Riaprire? Quando, come e per chi? Scenari per la fase due
Il problema che rimane più nodale di tutti è quello della ripartenza. Quando potranno ricominciare a lavorare i musicisti, per non dover più stendere la mano in attesa della benevolenza di questo o quel decisore pubblico e poter svolgere liberamente e magari addirittura soddisfazione la propria professione? L’emergenza sanitaria e la sua lunga e mortifera coda rimarranno sicuramente un impedimento oggettivo alla ripresa delle attività come erano andate prima dell’esplosione di questa crisi. A monte ci si domanda: perché all’estero si riesce a fare qualcosa, a cercare addirittura un ritorno alla normalità mentre i musicisti italiani sono lasciati invece in questo limbo. Al contempo questa fase di distruzione creatrice può portare degli spunti per un adattamento creativo della professione e soprattutto del rapporto dei musicisti con il pubblico. Gabriele Pieranunzi, spalla del teatro San Carlo di Napoli, propone di sfruttare le peculiarità storiche del repertorio partenopeo per una riapertura creativa: “Potremmo riprendere puntando sulla tradizione dell’opera napoletana, che richiede quasi sempre organici strumentali molto ridotti e pochi cantanti in scena. Quando ci saranno le misure di sicurezza garantite per musicisti e pubblico si potrebbe dividere l’orchestra in piccoli gruppi in grado di suonare a distanza, far andare in scena i cantanti del coro e proporre la stessa opera in vari turni durante la giornata, in modo da poter avere con gli ingressi contingentati lo stesso numero di persone in sala che ci sarebbero in una situazione normale.”
Sono anche allo studio le possibilità che, con la bella stagione, alcuni eventi che normalmente sarebbero stati programmati per essere eseguiti all’interno di sale chiuse vengano spostati all’aperto: la situazione però è ancora incerta anche per via dell’entità degli assembramenti che sarebbe necessario mettere in piedi e che dunque deve essere approvata preventivamente dalle autorità di salute pubblica. Soluzioni più pittoresche come quella dei concerti Drive In, che pure stanno riscuotendo un certo consenso tra gli organizzatori della musica leggera, probabilmente non sono praticabili per la musica classica o per il jazz per le loro peculiarità specifiche.
Una speranza non solo simbolica viene dalla Scala, il cui consiglio ha in questi giorni deliberato per una riapertura della stagione a settembre con un’esecuzione del Requiem di Verdi con modalità non ancora chiarite. Forse è un wishful thinking, ma sarebbe senza dubbio entusiasmante il fatto che il Teatro simbolo della musica nella regione più colpita possa dare un segnale del genere, nella speranza che poi però non si torni gattopardescamente al “business as usual”.