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Come nasce un’orchestra nel 2023

di Filippo Simonelli - 13 Aprile 2023

Per chi è nato e cresciuto in un grande centro l’Orchestra cittadina è una prassi consolidata e stabile, qualcosa che si può quasi dare per scontata. In Italia poi, con la diffusione capillare dei teatri d’opera, può capitare che ce ne siano addirittura più d’una talvolta. Se ci spostiamo però in luoghi più piccoli o che abbiano una tradizione “minore” da questo punto di vista, le cose cambiano radicalmente. C’è chi paragona un’orchestra, o un teatro, a un presidio culturale, come quello dello stato è rappresentato dalla stazione delle forze dell’ordine.

Per provare a promuovere e garantire una diffusione su tutto il territorio nazionale, esistono le cosiddette “ICO”, Istituzioni Concertistico Orchestrali. La sorte delle ICO, che esistono sotto questa denominazione dalla fine degli anni ’60, è stata ambivalente e in gran parte dipendente dall’erogazione del finanziamento pubblico e dall’accesso ai fondi del Fondo Unico dello Spettacolo – meglio noto con l’acronimo FUS.

L’elenco delle ICO così si è mosso a fisarmonica negli anni, tra orchestre nascenti e orchestre che perdevano finanziamenti, frutto di modelli di gestione non sempre efficienti o di un colpevole disinteresse della politica. Recentemente però, su iniziativa dell’ex Senatore Nitti, è stato dato un nuovo impulso al progetto ICO: grazie allo stanziamento di nuove risorse sono nate, o meglio sono state ammesse dal FUS, ben dieci orchestre.

La nascita di un progetto del genere però richiede tempo, risorse e una capacità di programmare ed entrare in contatto con il territorio di riferimento essenziali per la durata del progetto. Ne abbiamo parlato con Francesco Perri, già direttore del Conservatorio di Cosenza, che si è messo alla testa del progetto Orchestra Sinfonica Brutia con l’obiettivo di dare al territorio cosentino una realtà sinfonica e agli studenti del suo conservatorio un luogo in cui misurarsi sia da ascoltatori che da interpreti.

Una delle prime cose da affrontare dal punto di vista della costruzione del sistema che ruota attorno all’orchestra è la conta delle risorse che sono già presenti sul territorio. Nel caso di Cosenza, abbiamo la fortuna di avere un teatro di tradizione, il Rendano, che ha ospitato negli anni varie realtà sinfoniche che hanno provato ad affacciarsi qui. Accanto ad esso poi abbiamo anche altri spazi minori, come l’auditorium “Casa della musica”. Una volta appurato dunque che ci fosse una casa ad ospitarci, abbiamo iniziato a ragionare su come riempire questa casa, come offrire una proposta al nostro territorio e un’opportunità ai tantissimi studenti del Conservatorio. La progettualità è nata per trovare un punto di incontro tra le necessità economiche e un progetto artistico di lungo periodo e al tempo stesso raggiungere i requisiti necessari per ottenere lo status di ICO e dunque i finanziamenti del FUS.

Dal momento che parliamo di FUS e di finanziamenti, è chiaro che le risorse pubbliche da sole non sono sufficienti. Resta da capire come un progetto neonato possa, però, trovare linfa e collegamenti con le realtà preesistenti del territorio.

Il FUS è un aiuto fondamentale per noi, rappresenta nella nostra programmazione una percentuale che varia tra il 40 e il 60% del budget; chiaramente però, non basta a coprire tutte le nostre necessità. Ma occorre allargare il discorso anche ad altro: l’Orchestra appartiene a tutto il territorio, non è del Conservatorio, della città o men che meno mia. E’ quindi il territorio a racchiudere questo progetto, quasi ne fosse a capo, associando enti locali, imprese e solo poi in ultima battuta il Comune di Cosenza nel sostegno all’Orchestra; infine abbiamo anche istituito un ulteriore livello associativo, molto semplice, con gli “Amici dell’Orchestra”, che ha raccolto donazioni simboliche da parte di tanti privati cittadini ma soprattutto li ha fatti sentire parte di una comunità in cui hanno parte integrante e voce in capitolo.

Anche la programmazione, chiaramente, deve venire incontro a queste esigenze.

Ci sono anche in questo delle esigenze inderogabili quando si lavora al progetto di una stagione come la nostra: non possiamo ignorare i vincoli che abbiamo, e dobbiamo anche affacciarci al territorio con delle proposte che possa accogliere e sentire come proprie fin da subito.

Tornando a ragionare sul FUS, una delle grandi criticità che vengono ciclicamente a galla quando si parla di questo strumento è il criterio eminentemente quantitativo con cui richiede di organizzare le attività.

E infatti noi, da quando abbiamo ricevuto il riconoscimento ICO abbiamo dovuto mettere in piedi un cartellone con una decina di produzioni in appena quattro mesi, che per un progetto neonato come il nostro rappresenta una mole di lavoro veramente importante. Il vincolo del FUS era quello di dover garantire nella prima annualità l’equivalente di cinque mesi di ore di lavoro, pari a 2000 giornate lavorative. È chiaro che questo tipo di ragionamento può essere molto pericoloso per esperienze come la mia; se non ci fossimo posti il problema con largo anticipo rispetto al riconoscimento come ICO, non saremmo mai riusciti a raggiungere i criteri dopo aver dovuto sostenere anche tutta la mole di audizioni necessarie. Il discorso artistico, dunque, si è dovuto basare anche su una sostenibilità economica e una fattibilità pratica. Ci siamo dovuti basare sui classici: Mozart, Beethoven, senza spingersi oltre Tchaikovskij, affinché questo fosse fattibile, provando a lavorare con giovani interpreti.

E cosa serve per far si che questa progettualità possa andare oltre queste limitazioni?

Partendo da una condizione di 1.0, abbiamo dovuto costruire una base solida e che fosse, come già detto, sostenibile. Una volta stabilite queste fondamenta ed assicurati anche i finanziamenti, potremo ragionare su una progettualità a lungo termine. Già nella prossima stagione allargheremo i nostri orizzonti, avendo come ospiti il Premio Paganini Gibboni, o l’esplorazione di strumenti inusuali come il violino a cinque corde. Però dobbiamo mantenere i piedi piantati per terra, anche per lasciare qualcosa di solido a chi verrà dopo di noi, altrimenti per strafare si rischia di far saltare in aria tutto.

La Sinfonica Brutia è un’orchestra molto legata al Conservatorio di Cosenza. L’esistenza stessa dell’Orchestra permette agli studenti delle classi di strumento di avere subito uno spazio in cui confrontarsi con il repertorio sinfonico “in casa” ma comunque in una situazione più ufficiale rispetto ai concerti interni al conservatorio stesso.

L’obiettivo era quello di creare un collegamento diretto tra il mondo accademico, della formazione, con il mondo del lavoro. In realtà come quelle del sud Italia purtroppo è frequente che non ci sia uno sbocco immediato e in prossimità per chi si forma in questi posti, il che costringe i nostri talenti ad andare a cercare fortuna altrove. L’altro obiettivo della Sinfonica Brutia è proprio quello di creare una “primavera del lavoro”, coinvolgendo i talenti di tutti i conservatori della regione e anche della Basilicata per farli confrontare con una realtà strutturata. Il problema più forte e sentito dagli studenti è che non c’è una prospettiva di lavoro seria per i musicisti in Italia: quando uno studente si laurea in percorsi più “tradizionali” come quello di medicina, magari dopo un po’ di tentativi riesce a trovare un lavoro per cui si è formato. Per i musicisti, nonostante gli infiniti step che i giovani devono superare prima di poter completare la loro formazione, non funziona così. Solo una percentuale, e neppure maggioritaria, di quelli che escono dalle classi di strumento riesce a intraprendere la carriera solistica o a entrare in orchestre o formazioni analoghe. Troppi devono adattarsi o peggio ancora cambiare mestiere. Questo progetto, come tutte le ICO, serve per costruire una realtà, con una solida garanzia pubblica, in cui i giovani migliori possano mettere alla prova le proprie competenze e trovare il lavoro per cui si sono formati, o almeno muovere i primi passi in quella direzione. E non è poco.

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