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Boris Giltburg, Johannes Brahms e un blog

di Filippo Simonelli - 12 Ottobre 2021

C[/dropcap]on il decreto capienze si è finalmente ristabilito il 100% di pubblico in sala per teatri e sale da concerto. Una notizia agognata e che capita a fagiolo, appena dopo l’inaugurazione della stagione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e in tempo per la prima esibizione romana di Kirill Petrenko per questa stagione, in programma il 13 ottobre. L’acclamatissimo direttore russo sarà alla testa dell’orchestra romana in un concerto di enorme portata sia simbolica – la prima volta che vedremo la sala piena dopo tanto tempo – sia in termini di sforzo. Ad aprire le danze sarà l’Overture mendelssohniana Meeresstille und Glückliche Fahrt, seguita poi dal titanico Secondo Concerto per Pianoforte e Orchestra di Brahms. A concludere il programma, dopo l’intervallo, La Mer di Debussy.

Petrenko non è nuovo nell’affrontare programmi così impegnativi: da un lato si tratta sicuramente di musica ampiamente consolidata in repertorio, e per la quale ci si aspetta sempre una risposta entusiastica da parte del pubblico; ma dall’altro la portata e l’impegno richiesto dai singoli pezzi, nonché le forti differenze tra ciascuna parte del programma e l’altra pongono comunque una sfida impegnativa.

Ad accompagnare il direttore in questa sfida sarà un solista di quelli che non capita di sentire tutti i giorni: si tratta di Boris Giltburg, che in effetti è al suo debutto nelle sale dell’Accademia Romana. Giltburg è un pianista ancora relativamente giovane – è un classe 1984 – ma ha già alle spalle una carriera solida e un seguito di pubblico di tutto rispetto. Nonostante sia sempre stato apprezzato per le sue interpretazioni, che vanno dai capisaldi del romanticismo a un particolarmente splendido Prokofiev, almeno a giudizio di chi scrive, è riuscito a fare breccia ancora più in profondità nella coscienza collettiva del pubblico della musica classica con il progetto Beethoven32. Di primo acchito leggere Beethoven32, dopo un anno di celebrazioni ad ogni piè sospinto, può sembrare qualcosa di trito e ritrito, ma aspettate a trarre giudizi affrettati. “Ho iniziato a lavorare a Beethoven32 prima che iniziasse la pandemia” ci racconta “ma ovviamente la piega che hanno preso gli eventi hanno cambiato la natura del progetto”. Così, da un “semplice” integrale di Beethoven Giltburg ha messo in piedi un vero e proprio percorso didattico e divulgativo sulle sonate: nei giorni più bui del 2020 Giltburg non solo studiava e suonava come un forsennato (“ho fatto anche 3-4 concerti in streaming a settimana!” ricorda), ma ha coltivato un blog eponimo, Beethoven32 appunto, in cui ha tracciato un diario quotidiano del suo studio e soprattutto un ritratto emotivo di ciascuna sonata, andando avanti fino all’inzio del 2021. Ricorda ancora “[…] è stato bello perché non solo ho creato un legame forte con il pubblico che seguiva i miei concerti e leggeva il blog” ma ha anche “attirato un grande interesse da parte di un pubblico non sempre di specialisti”. Non solo: il progetto, che era stato pensato per una trasmissione sulle piattaforme streaming (Apple Music in testa), ha preso una forma concreta ed oggi è un cofanetto edito dalla Naxos, ed il blog offre un documento prezioso sia come testimonianza di un musicista in pandemia, ma anche per quello che significa seguire il processo creativo e l’approccio di un pianista a una vera e propria enciclopedia della musica come il corpus beethoveniano.

Brahms e Beethoven naturalmente hanno un legame molto profondo e ben noto: se la prima Sinfonia dell’Amburghese è stata ribattezzata la decima di Beethoven, perché non estendere l’analogia ai concerti per pianoforte? “Nel lavorare su questo brano” racconta sempre il virtuoso russo-israeliano “è impossibile pensare di muoversi da soli. La parte del pianoforte è difficile, impegnativa, ma la vera sfida è quella di combinarsi alla perfezione con il lavoro dell’orchestra. C’è una sinergia, un legame così forte che è spesso difficile distinguere il solista dall’orchestra e viceversa”. E ne è una perfetta testimonianza, tanto per fare un esempio celebre, il solo di violoncello che apre il terzo movimento, o i richiami dei corni in apertura del primo. “Lavorare con l’orchestra di Santa Cecilia e con Petrenko è entusiasmante”, conclude, “si vede che direttore ed orchestra lavorano benissimo assieme e unirsi a loro viene in maniera incredibilmente naturale”.

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